(RENATA
SCIELZO) - Il calcio: un linguaggio con
i suoi poeti e i suoi prosatori, ebbe a dire
Pasolini.
Poeti e prosatori con uno stile che li
contraddistingue e talvolta li rende
inimitabili.
Quale il momento in cui i “poeti” dispiegano
al meglio le loro potenzialità e i loro
artifici stilistici? Una domanda retorica.
Una sola risposta: il momento più poetico
del calcio è quello individualistico.
Dribbling, goal e passaggi ispirati.
Sebbene i goal spesso siano il risultato di
una geometria collettiva, sono indubbiamente
i momenti di maggiore spannung, quelli in
cui il poeta artefice, dopo fraseggi e giri
di palla, cancella ogni tensione e ci
conduce all’acme del piacere estetico. La
rete si gonfia, la poesia della quotidianità
si fa epica, impresa collettiva, nella quale
è il goleador, a mo’ di moderno Achille, ad
ergersi a grande condottiero.
Ogni “momento poetico” che si rispetti viene
debitamente festeggiato dinanzi agli occhi
degli astanti, in un rituale prima
individuale e poi collettivo. In maniera
programmatica, dopo una lunga “meditazione”,
o istintiva.
Ogni “moderno poeta del pallone” detta le
leggi del festeggiamento, proponendo il suo
inconfondibile marchio di fabbrica, la sua
cifra stilistica, in una sorta di “Esulto
dunque sono”.
Germania 2006. Italia–Australia. L’Italia in
dieci uomini gode di un calcio di rigore che
potrebbe regalarle i quarti di finale. Il
numero 10 Francesco Totti si avvia verso il
dischetto. Posiziona la sfera. Le telecamere
indugiano sui suoi occhi. L’Italia del
pallone freme e teme. Totti dichiarerà:
pensavo a come esultare. La storia è nota a
tutti, una lunga corsa con il ciuccio in
bocca e il boato dello stadio. Un gesto
legato alla sfera privata, dettato dalla
recente paternità.
Altri rituali legati alla dimensione
collettiva sono invece lo sfogo delle
tensioni accumulate, l’immagine della
sensazione di leggerezza e libertà dopo il
goal, il ringraziamento per i propri tifosi,
un messaggio per i propri cari, la richiesta
di consenso.
Il nostro Calaiò, novello Robin Hood,
scaglia frecce verso la curva, e, Cupido in
maglia azzurra, ci ha colpiti e fatti
innamorare. Un gesto semplice, di cui non
smetteremmo mai di riempirci gli occhi.
Un’esultanza condivisa, volta a creare un
legame indissolubile con il proprio pubblco.
Uno sfogo le capriole di Martins o un gesto
di libertà fanciullesca la corsa ad ali
spiegate a mimare il volo di un aeroplano
che ha fruttato a Vincenzo Montella il
soprannome di “aeroplanino”.
“Musica per le orecchie” la sviolinata del
Gila nazionale nel match contro gli USA e
inconfondibile la mano portata all’orecchio
di Luca Toni. Gesti che i propri tifosi
anelano, gli altri temono, scongiurano.
L’esultanza è momento clou dello spettacolo.
Il realizzatore segna, esulta e dunque è.
Persino i videogiochi della FIFA e le
celeberrime figurine Panini hanno voluto
immortalare i campioni intenti a condividere
il proprio entusiasmo. Qualcuno li definisce
narcisi autocelebrativi, qualcun altro
giustamente depreca le esultanze sopra le
righe (vedi alla voce sgozzamenti di Vucinic
o saluti romani di Di Canio), noi speriamo
solo di essere trafitti ogni sabato
pomeriggio da una pioggia di dardi.