9/12/2005
(Renata Scielzo) - Il grande calcio.
Il profumo della serie A. Il san
Paolo gremito in ogni ordine di
posti. La partita anticipata alle
15.00 per problemi di ordine
pubblico, con il disappunto dei due
mister, Reja e Spalletti, e di gran
parte della tifoseria, preparatasi
ad una grande serata di calcio,
piuttosto che ad un gran pomeriggio.
Anche noi di Pianetazzurro avevamo
biasimato tale provvedimento.
Pochi tifosi da Roma, circa mille i
supporter giallorossi. Un mare di
bandiere azzurre. Un Napoli
emozionato, una Napoli su di giri.
8 dicembre, non una giornata come
tante, ma una data agognata, attesa
da mesi: da un lato il profumo di
Natale nell’aria, i pastori, il
presepio e l’albero, dall’altro il
grande spettacolo del calcio: un
tuffo nel passato. Le maglie dei
giocatori del Napoli finalmente con
i nomi trascritti sulle spalle,
l’azzurro (e non il biancoceleste,
come qualche tordo cronista
dimentico dei colori sociali del
Napoli ha detto…) contro il
giallorosso. Una sfida dal sapore
antico e per i romanisti forse un
po’ amara. Qualche anno fa proprio
il Napoli, che sarebbe poi stato
condannato inesorabilmente alla
serie cadetta, frenò il cammino dei
giallorossi, capitanati da Mister
Capello verso il terzo scudetto. E
quella non fu una gara come tante,
ma una gara i cui strascichi hanno
contribuito non poco a deteriorare
ulteriormente i rapporti tra Capello
e la sua ormai ex squadra. Basti
pensare alla polemica a distanza con
il capitano giallorosso, accusato di
aver trascorso una notte brava
all’ombra del Vesuvio. Ma questi non
son fatti di casa nostra. Aperta e
chiusa una parentesi andiamo avanti.
Insomma da ambo i lati: voglia di
vincere. Entrambe le squadre erano
uscite alquanto bastonate e
ridimensionate dalle ultime gare dei
rispettivi campionati e per motivi
diversi entrambe le squadre ambivano
a far bene in questo match.
Da un lato il Napoli, condannato
all’inferno della serie C, bramoso
di grande calcio e desideroso di
regalare ai 70000 accorsi al San
Paolo una gioia intensa e vera,
dall’altro la Roma, una squadra con
un buon potenziale tecnico che da
due campionati a questa parte fatica
per un mare di motivi a carburare e
viaggia ad una velocità di gran
lunga inferiore alle sue reali
potenzialità, nonostante nel suo
organico compaiano dei nomi capaci
di incutere paura a qualsiasi
retroguardia, vedi Totti, Cassano,
Montella o anche Amantino Mancini.
E ultimo, il pubblico. Il vero
protagonista della partita, quello
che aveva preparato la festa in
grande stile, quello che era accorso
in massa, quello che prometteva un
tripudio di suoni e di colori con
cori cantati a squarciagola, magari
qualche simpatico sfottò, ma nulla
di più, e poi bandiere, striscioni e
un mare tutt’ azzurro, come cantava
Nino D’Angelo.
Questi erano i presupposti di una
sfida che, non lo si dimentichi,
vedeva sul rettangolo di gioco la
capolista della serie C1/B contro
una squadra da metà classifica della
serie A. Una Roma che tuttavia si
presentava rimaneggiata, tra
giocatori squalificati (Cufrè,
Panucci e Perotta) e mezza rosa in
infermeria: da capitan Totti, a De
Rossi, passando per Cassano, Kuffour,
Montella (e chi più ne ha più ne
metta).
The day after. Partiamo da Giove
Pluvio, per nulla clemente. Una
bella mattinata di sole, seguita da
un pomeriggio grigio, uggioso, e da
una pioggia fitta e battente che ha
caratterizzato buona parte del
match. Cielo plumbeo quindi, tutt’altro
che azzurro.
Le squadre scendono in campo,
entrambe le compagini, per motivi
diversi, vivono la gara con emozione
e giocano una bella partita,
onorando il campo e offrendo
spettacolo, e con tutta sincerità,
non lesinando nulla. Gli azzurri
emozionati al cospetto di giocatori
che hanno vestito la maglia della
nazionale come Tommasi, di campioni
come Chivu, e colpiti dalle finezze
tecniche di Rodrigo Taddei, i
giallorossi con tanti ragazzi della
primavera in campo, per la prima
volta in prima squadra in una gara
ufficiale, e davanti ad un mare di
pubblico, un pubblico da brividi
addosso, quello delle grandi
occasioni, un pubblico, che vedi
legge Pisanu o vedi ultime gare
della Roma, all’Olimpico quest’anno
hanno visto solo per una sfida di
cartello: Roma- Juventus, nemmeno
forse per il derby.
La Roma gioca, commette qualche
leggerezza difensiva, manca il
baluardo Kuffour, invece c’è il
solito Mexes, reo non solo di aver,
suo malgrado, arrecato non pochi
danni al fondo cassa della società
giallorossa, ma di mille e mille
errori difensivi in molte delle gare
che l’hanno visto protagonista,
tuttavia quando c’è da inserirsi
nella “bucherellata” retroguardia
azzurra, gruviera come poche, si
inserisce, affonda e punisce. Lo fa
per ben tre volte, con un risultato
che forse nega al Napoli la festa
del goal, un goal che avrebbe
meritato per i tentativi, qualcuno
estremamente pericoloso dei suoi
attaccanti e non foss’ altro per
regalare una gioia ai 70000 di cui
sopra. Ma il giovane Aquilani prima,
il redivivo Nonda dopo, e da ultimo
il sedicenne Okaka, tolgono ogni
speranza al Napoli e ipotecano
seriamente e forse definitivamente
il passaggio ai quarti. Il pubblico
poi solo in parte si dà a quella
bella festa, un piccolo branco di
soliti idioti, un piccolo branco di
soliti noti – e dispiace proprio a
noi di Pianetazzurro doverlo
sottolineare e ribadire ancora una
volta – si distingue dalla massa per
un comportamento stupido, idiota,
barbaro ed incivile.
Che dire? Ci eravamo forse illusi
che il match sarebbe potuto andare
diversamente. Troppe aspettative
riversate sui ragazzi e l’illusione
che il Napoli fosse, capolista della
C1, una squadra almeno da serie
cadetta e quindi di una sola
categoria inferiore alla Roma. Così
non è stato. Ieri tutte le pecche
azzurre, nonostante degli sprazzi di
buon gioco, sono emerse in maniera
lampante: la difesa, come già il
nostro Edoardo Letizia ha avuto modo
di sottolineare, è un colabrodo, una
gruviera, con giocatori sempre in
ritardo o fuori posizione.
L’attacco, invece, sebbene valido,
non ha avuto continuità e
soprattutto non ha colto
adeguatamente le diverse occasioni,
non sapendo concretizzare ciò che di
buono era stato costruito in qualche
occasione da metà campo in su.
Si pongono un paio di questioni:
avevamo forse sopravvalutato il
Napoli, e fin qui ci siamo. Ma forse
avevamo sottovalutato la Roma. Una
Roma baby, che adesso metterà in
difficoltà Mister Spalletti.
Perché delle due l’una: o il Napoli
deve rivedere non solo la difesa, ma
tante, troppe cose, altrimenti la
serie B corre il rischio di
diventare una lontana chimera, o la
Roma, rimaneggiata, dimezzata e
senza i suoi gioielli ha
improvvisamente trovato la chiave di
volta, un undici da mandare in
campo, un gruppo su cui investire.
Forse la verità è come sempre nel
mezzo: il Napoli deve rivedersi e
ricostruirsi e parlano chiaro le
ultime due gare di campionato, al di
là della Roma e al di là degli
errori arbitrali; la Roma deve
trovare continuità, mordente e
lavorare di spogliatoio, investendo
sul suo vivaio e non fossilizzandosi
mandando i campo cariatidi i cui
nomi sono altisonanti, ma che poco
danno in termini di corsa e di gioco
(un esempio potrebbe essere l’ultimo
Dacourt, spesso preferito al giovane
Aquilani, autore ieri di una bella
prestazione).
E la verità sta nel mezzo anche per
il pubblico. Siamo propensi non a
dimenticare gli idioti, perché i
panni sporchi si lavano in famiglia
(adagio che non ci appartiene), ma
ad oscurarli, e a ricordare le
famiglie, le giovani coppie, i tanti
ragazzi e i tanti anziani, i tanti
ultrà accorsi al San Paolo per
gustarsi lo spettacolo, uno
spettacolo che si è concluso con un
brutto ed un bruciante 0 – 3, ma
che, come ha brillantemente
sottolineato il nostro Arturo
Minervini, ci ha regalato una grande
gioia ed una grande emozione,
sebbene ci abbia svegliato
bruscamente dal nostro piccolo
sogno, ridestandoci e sbattendoci in
faccia la amara verità: il cammino
per tornare grandi è lungo e
faticoso e bisogna mettere in campo
tutte le forze possibili ed
immaginabili, cooperare tutti, dalla
società ai tifosi, perché il Napoli
possa tornare grande tra le grandi e
Napoli possa vivere ogni domenica lo
spettacolo che merita. Domenica è un
altro giorno e contro il Grosseto
bisogna lottare con le unghie e con
i denti.
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