2/6/2007
(ESCLUSIVA PianetAzzurro di
FRANCESCO TRINCHILLO) E’ un grande piacere
per PianetAzzurro, poter proporre ai nostri
affezionati lettori, l’intervista ad un uomo
che ha fatto la storia del calcio italiano,
facendo sognare i tifosi di tutta Italia, in
particolar modo quelli della Fiorentina, e
che ha anche conquistato con la Nazionale
italiana i mondiali di Spagna del 1982.
Stiamo parlando di colui che Gianni Brera ha
definito “Il ragazzo che gioca guardando le
stelle”, ossia di Giancarlo
Antognoni (nella foto).
Innanzitutto vorrei chiederle com’è riuscito
a diventare il campione che ora tutti
ricordano con affetto e stima. Cosa
consiglia ai giovani che sognano una
carriera come la sua?
“Ti ringrazio per i complimenti. Beh ho
iniziato un po’ come tutti i ragazzini,
tirando qualche calcio nei campetti e poi
pian piano sono riuscito ad inserirmi in
squadre di calcio vere e proprie. Sono
riuscito ad esprimere le mie doti tecniche
nel modo giusto, ed è proprio questo che mi
ha fatto sfondare. Ai giovani consiglio di
fare tanti sacrifici e di esser sempre più
appassionati di questo sport. Soltanto con i
sacrifici, con spirito di dedizione ed
ovviamente con le appropriate doti tecniche,
si riesce ad andare avanti”.
Com’è cambiato, a suo avviso, il calcio da
quando giocava lei ad oggi?
“C’è sicuramente un’attenzione maggiore da
parte dei mass media nei confronti di questo
sport, e questo ha cambiato di gran lunga il
mondo del calcio in tutte le sue
sfaccettature. Per quanto riguarda il gioco
in sé per sé, devo sottolineare come prima
contavano molto di più le qualità tecniche
di un singolo calciatore. Oggi in generale,
in tutti i campionati non solo in Italia, ci
si basa molto di più sull’agonismo, sulla
velocità e sulla fisicità, rispetto alle
qualità prettamente tecniche”.
Per questo motivo allora il calcio moderno
non sforna più giocatori con caratteristiche
come le sue, o ad esempio di Falcao, Cerezo,
Junior, Souness, Ray Wilkins, ossia tutti
giocatori capaci sì di difendere, ma dotati
anche di tanto fosforo?
“Come dicevo prima, l’evoluzione del gioco
del calcio, che prevede oggi più fisicità
rispetto alla tecnica individuale, fa sì che
i giovani crescano in maniera tale da
privilegiare lo sviluppo di determinate doti
fisiche invece che tecniche. Possiamo
affermare che oggi, i calciatori con
determinate caratteristiche tecniche sono in
un certo senso bistrattati rispetto ad altri
magari anche meno dotati tecnicamente, ma
dal fisico più prestante. Giocatori del
genere possono esser ad esempio Pirlo, che
ha un modo di giocare simile a quello di
Falcao, ma va considerato che un giocatore
simile riesce attualmente ad esprimersi in
un determinato contesto di squadra. Pirlo
riesce nel Milan ad esprimersi al meglio,
grazie anche al lavoro che fanno gli altri a
livello fisico, senza comunque nulla
togliere ad un grande campione che è
migliorato tantissimo negli ultimi anni
anche proprio dal punta di vista fisico”.
Rispetto ai suoi tempi vediamo sempre meno
tifosi veri sugli spalti, ed al contrario
sempre più violenza. Perché la gente si sta
sempre più disamorando del calcio?
“Di certo in questi ultimi anni, dopo gli
incresciosi episodi di violenza, non ultimo
quello di Catania, la situazione del calcio
italiano è precipitata. La gente evita di
andare allo stadio perché lo considera un
luogo pericoloso, e dunque complice anche
l’avvento della pay-tv, preferisce restare a
casa e guardare le partite comodamente
seduti in poltrona. Purtroppo non si può dar
torto a queste persone che hanno cambiato le
loro abitudini nel corso degli anni, cosa
che ad esempio all’estero non è accaduta in
quanto la situazione non è mai degenerata
come qui in Italia. Tuttavia credo che allo
stadio vadano a maggior ragione ora, i
tifosi veri e propri, che amano la loro
squadra e che la seguirebbero ovunque per
sostenerla”.
Che ricordo ha del Mondiale conquistato in
Spagna nell’82 e quali differenze ci sono
tra quel trionfo e quello ottenuto l’estate
scorsa dalla Nazionale guidata da Marcello
Lippi?
“Ovviamente porto con me un ricordo
fantastico di quell’esperienza, che mi ha
consentito di toccare l’apice della mia
carriera agonistica. Ho realizzato un sogno,
lo stesso sogno che ogni bambino cova in se
quando inizia a tirare i primi calci ad un
pallone, ossia diventare campione del mondo.
Ci sono molte similitudini tra la nostra
vittoria dell’82 e quella dell’estate scorsa
di Berlino. Entrambe le squadre sono partite
da non favorite, per poi ritrovarsi sul
tetto del mondo. Inoltre ambedue le
spedizioni sono partite con una situazione
psicologica non propriamente tranquilla, ma
sono riuscite a creare un gruppo solido,
cementando l’intesa sia fuori che dentro il
campo e diventando meritatamente campioni
del mondo. L’unica differenza può stare nel
fatto che noi nell’82 superammo ostacoli,
almeno sulla carta, proibitivi, e man mano
che li superavamo la fiducia nei nostri
mezzi cresceva. Abbiamo eliminato squadre
come Argentina e Brasile, che ad inizio
torneo erano le favorite. La compagine di
Lippi invece, da questo punto di vista ha
avuto un cammino più agevole, almeno fino
alla semifinale. Ma va ricordato che a
questi livelli, e soprattutto nella
competizione iridata, ogni partita è
difficilissima da vincere”.
Secondo lei, chi tra i giovani calciatori
d’oggi, potrebbe essere l’erede di Antognoni?
“Guarda, di certo il prototipo del calcio
italiano è attualmente Francesco Totti, ed
anche se ormai è alla soglia dei trent’anni,
il suo modo di giocare un po’ ricorda il
mio. Per quanto riguarda i giovani, mi
rivedo molto in Riccardo Montolivo,
centrocampista della Fiorentina dotato di
gran classe e soprattutto di un ottimo acume
tattico, molto bravo sia ad impostare il
gioco, che in fase difensiva”.
Quanto conta per lei un allenatore in una
squadra di calcio e come mai non ha
intrapreso questa carriera?
“Preferisco fare il dirigente ed osservare
nuovi talenti. L’allenatore conta molto per
una squadra di calcio, soprattutto nel
calcio moderno. A mio avviso è un ruolo che
adesso vale molto di più rispetto a prima,
dove magari c’erano meno pressioni ed anche
a livello psicologico era più facile
giocare”.
Un suo giudizio sul Napoli e sul suo
allenatore Edy Reja…
“Il Napoli sta disputando un’ottima annata e
merita di salire in Serie A, come anche
Genoa e Juve. Anche tramite i play off, sono
certo che il Napoli può farcela e tornare
così nella serie più congeniale ad una
piazza così importante. Reja è un ottimo
allenatore, e spesso non capisco le critiche
che gli vengono rivolte. Ora come ora il
Napoli ha bisogno di risalire in A, e non è
importante se lo farà giocando bene o male,
l’importante è che vinca”.
Infine, un saluto a Napoli ed ai lettori di
PianetAzzurro.
“Un affettuoso saluto ad una piazza
importante che ho sempre seguito con
simpatia. Auguro al Napoli ed ai suoi tifosi
di poter festeggiare al più presto il
ritorno in A”.
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