10/12/2008
(ESCLUSIVA PianetAzzurro
di MARIO IPRI) - Nel calcio di oggi le
bandiere sembrano quasi una leggenda
metropolitana. Se si escludono i mostri
sacri Maldini, Del Piero e Totti, che hanno
legato la loro vita professionale (e non
solo) ai rispettivi club, tutti sembrano
“corruttibili”, senza rinnovo contrattuale
che tenga.
Eppure nel Napoli ha militato un vero e
proprio “highlander”, un giocatore capace di
legarsi per 501 partite ai colori azzurri,
diventandone il capitano negli anni d’oro,
prima di cedere la sua fascia al più grande
di tutti. Si tratta ovviamente del mitico
Beppe “pal ‘e fierr” Bruscolotti. E proprio
lui abbiamo intervistato, cercando di capire
cosa ne pensa del progetto di De Laurentiis,
dei nuovi idoli del San Paolo.
Beppe, partiamo da lei. Com’è adesso la
domenica di Bruscolotti?
“Ovviamente ruota attorno alla partita del
Napoli, che seguo insieme ai miei clienti
dal ristorante che gestisco. Ti lascio
immaginare poi cosa accade quando qualche ex
compagno di squadra viene a trovarmi proprio
nel giorno della partita degli azzurri: il
ristorante diventa la terza curva del San
Paolo. Dopotutto ero il primo tifoso in
campo quando giocavo, non potrei immaginare
un modo diverso di passare la domenica”.
Questa squadra ha le potenzialità per
ripercorrere i passi del Grande Napoli?
“Diciamo che hai usato il termine esatto,
potenzialità. Di certo si può andare lontano
e costruire qualcosa di importante, ma
adesso è davvero troppo presto per indicare
obiettivi e scadenze per i massimi
traguardi. Bisogna avere pazienza, e pensare
sempre alla concorrenza, che di certo non
sta a guardare”.
La politica dei ‘piccoli passi’ attuata
dalla società va confermata anche in caso di
raggiungimento del quarto posto, al termine
della stagione?
“Non mi piace guardare già troppo lontano,
lo trovo deleterio. Posso però dire che, se
e quando il Napoli approderà nella massima
competizione continentale, sicuramente non
vorrà essere una meteora. Quindi…”.
Prova fastidio quando Lavezzi viene
paragonato a Maradona, lei che ci ha giocato
per tanti anni?
“Fastidio no, ma le cose stanno nel seguente
modo. A 23 anni Diego era già il più grande
di tutti e al limite aveva il problema di
non farsi scalzare dagli altri campioni
sulla scena mondiale. Lavezzi è un giocatore
fortissimo, ma non mi sembra se ne possa
parlare negli stessi termini. Per il
momento, si spera”.
Il ‘caso Lavezzi’, il recente ‘malumore’ di
Blasi per non aver giocato contro l’Inter.
Non crede che la squadra necessiti di una
bandiera come lei in grado di fare da
collante?
“Il fatto che ogni tanto emerga qualche
malumore non può che essere un fatto
positivo, non c’è famiglia nella quale ogni
tanto non si storce il naso. E questo gruppo
è davvero una famiglia. Il pericolo c’è
quando i problemi non emergono, ma si
leggono sul volto dei giocatori o dei
dipendenti della società. E io vedo solo
sorrisi sinceri in questo gruppo”.
Crede che Santacroce possa davvero essere
l’erede di Fabio Cannavaro, sia nel Napoli
che in Nazionale?
“A Santacroce non manca davvero nulla per
diventare un campione nel suo ruolo, e il
fatto che militi nel Napoli deve essere
motivo di vanto per società e tifosi.
Insieme a Chiellini rappresenta la base da
cui partire per tornare a far parlare nel
mondo dei difensori italiani come i più
forti”.
Nonostante la sua grandissima carriera, lei
non ha mai giocato in Nazionale. Non trova
invece che oggi sia troppo facile essere
convocati?
“Non è diventato più facile, è che prima il
calcio era molto diverso. Si veniva
convocati per blocchi: i difensori di questa
squadra, i centrocampisti di quell’altra.
Oggi i commissari tecnici preferiscono
sperimentare, magari lasciando a casa dei
fuoriclasse e convocando giocatori che hanno
ancora tutto da dimostrare. Forse in questo
sento è più facile, sì”.
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