CIAO TOTO

 

 

C'era una volta una famiglia. Imprenditori seri, accorti, di successo. Centinaia di alberghi e un impero infinito. Questa famiglia, oggi, non c'è più. Al suo posto ce n'è un'altra. Della quale non fa parte Salvatore Naldi. Lui, "Toto", rampollo della dinastia Naldi con la passione dei cavalli, un giorno accende la Tv e si innamora del calcio-buisness. Prende l'album delle figurine e vede che la squadra della sua città sta in serie B, vivacchia non certo ai vertici. Decide di fare il grande passo ed entra nella società.
E' l'inizio della fine, per tutti. Per il Napoli e per la sua famiglia. Lui è un simpatico, genuino e smaliziato tifoso, che quando conquista il ponte di comando rischia subito di scivolare e cadere a mare, circondato da squali armati da telecamere e taccuini. Di questi, Toto si sentirà sempre minacciato ma ne proverà sempre un fascino irresistibile.
Toto è il "presidente", ama questo titolo e lavora da tale. E' sicuro di diventare il più grande, il migliore. Sogna una scena della finale di Coppa Campioni. Lui in tribuna d'onore, lo stadio pieno che canta "O'surdato 'nnamurato" e i calciatori azzurri che sollevano al cielo la Coppa. E sogna un buon portafoglio. Sogna anche, però, chi tutto questo poteva renderlo effettivo, uno zio d'America somigliante a Godot.
Non si sveglia Toto, che trascura l'aspetto tecnico circondandosi di puri incompetenti. Dalla testa ai piedi, il Napoli diventa presto la squadra del paese, gestita a carattere familiare. I figli in seno alla società portano gli amici a lavorare con loro, nel frattempo il loro papà cerca il socio. Lo zio non arriva, ci sono invece altri imprenditori. Ma Toto cerca quello che gli avrebbe garantito il buon zio: i soldi ed il potere. Ma lo zio non c'è, i soldi finiscono e gli resta solo il potere.
Toto ai napoletani resta simpatico per la sua semplicità. Mai i napoletani si vergognano di lui, piuttosto difendono l'innocente presidente che cade in tranelli e colleziona brutte figure in un mondo che non è il suo e che lui vorrebbe cambiare. Ma nessuno vede in Toto la cattiveria e la meschinità dei suoi predecessori. In più ha i soldini, e per questo a tutti sta ancora simpatico ed è per questo che per tutti è sempre il Salvatore.
Un brutto giorno però Toto si sveglia e capisce quello che sta facendo. Guarda il calendario e vede che dopo venti mesi lo zio ancora non è arrivato. Scuote le spalle, fa per andare a cavallo ma torna in albergo a prendere il portafoglio che distrattamente aveva dimenticato. Lo apre e guarda l'estratto conto. E' sempre buono ma non come quello di un tempo. Gli cade una carta, si cala e la prende. E' un appunto dell'amico Albissini, amministratore delegato azzurro, e sopra vi è scritta la cifra dei debiti del Napoli. Toto si ferma, si affaccia alla finestra e vede che il sole sta tramontando anche sul suo impero. Scruta l'orizzonte e non vede zii, guarda dabbasso e guarda invece i figli e i suoi amici che trafficano negli uffici della sua società. Non se ne cura, ma decide una cosa: che per il giocattolo, senza lo zio, non avrebbe più messo soldi.
Arriva il momento che li deve mettere, e poiché non ci sono decide di rinviare la data dell'incombenza, sperando che qualcuno gli risolva il problema. Si lamenta: tira fuori quanto ha fatto per il Napoli, tenuto alla canna del gas per mesi e mesi. Nessuno lo ascolta. Capisce che il giocattolo ha poche ore di vita, e gli dispiace farlo morire perché prima di essere il suo è quello di milioni di napoletani.
Toto si muove, ma nella sua incoerenza sbaglia. Lui non vuol mettere denari, cerca di costringere altri a farlo e per questo va in tribunale. Riceve una mazzata, viene messo spalle al muro. Ma non si ferma: cerca i soldi a testa bassa presso tutte le banche. Gli dicono tutti di no. Gli resta l'ultima possibilità, l'ultimo giorno e all'ultima ora. Ma trova lo sportello chiuso. Chiuso per Toto, solo per lui, perché nessuno ha più fiducia in lui. Nessuno, forse, ha mai avuto fiducia in Toto.
Il Napoli non ricapitalizza. Povero Napoli e poveri napoletani. Toto si dimette. 
Povero Toto. Si è svegliato troppo tardi. Schiacciato da un mondo più grande di lui. Fregato dalla sua incompetenza e dalla sua incoerenza.
Povero Toto. Adesso va a dormire Toto. E' calato il sipario, è uscito di scena. Prima però accende la televisione e guarda una partita. E' una finale, una squadra vince la Coppa e la alza al cielo. Toto piange. Vede in quei ragazzi quel Napoli che lui sognava. Ma non capisce che è troppo tardi. Vorrebbe prendere il portafoglio e contro tutti poter salvare il Napoli. Non potrà farlo, perché il suo Napoli è morto. Neanche se si ribellasse alla famiglia, che lo ha incatenato, potrebbe riportarlo in vita. Piange Toto. Piangono i napoletani. Dramma Napoli, è il dramma della città e di Toto Naldi.
Povero Toto. Il Napoli rinasce. Riparti anche tu, lontano dal calcio hai sempre la tua vita.
CIAO TOTO. E, NONOSTANTE TUTTO, IN BOCCA AL LUPO.
 
 

Marco Santopaolo

                                      22/6/2004

 

 

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