E
ORA?
Si
può morire per una partita
di calcio? No, però è
successo, e Sergio Ercolano
non è neanche stato il
primo. È spirato
all’ospedale quarantotto
ore dopo la follia del
pre-partita di Avellino
contemporaneamente alle
solite riunioni e tavole
rotonde sul tema “violenza
negli stadi”.
Sono
vent’anni che si parla di
violenza negli stadi, forse
trenta; si parla ma non si
agisce, tutti sono bravi ad
indignarsi ma nessuno poi ha
il coraggio di passare ai
fatti. Sono passati
venticinque anni dalla
tragedia Paparelli ucciso
all’Olimpico da un razzo
sparato dalla curva opposta
e venti dall’omicidio
Fonghessi, accoltellato a
morte fuori San Siro solo
perché la sua auto era
targata Cremona.
“Li
vogliamo prevenire questi
episodi!”: fu l’accorato
appello del Presidente della
Roma Dino Viola subito dopo
la morte di Antonio De
Falchi avvenuta, anche
questa, nei dintorni dello
stadio milanese.
Quell’appello
è rimasto inascoltato se a
tutt’oggi atti di teppismo
si verificano con
inquietante frequenza e le
società sono ricattate da
questi facinorosi.
Giovanni
Centrone, responsabile della
morte di Marco Fonghessi,
rilasciò dal carcere
un’intervista a “Il
Processo del Lunedì”
nella quale, oltre a
dichiararsi pentito per ciò
che aveva commesso, manifestò
tutto il suo pessimismo
circa la lotta alla violenza
negli stadi.
Alla
domanda “cosa
si può fare per arginare
questo fenomeno?” egli
rispose secco “non
si può far niente”.
Il
calcio di oggi ci ha
abituato a tutto ed al
contrario di tutto; è stata
stravolta la regola più
basilare ossia il verdetto
del campo, le forze
dell’ordine non sempre
sono impiegate in quantità
sufficiente, gli stadi
italiani, alcuni dei quali
davvero vetusti, sono tra i
più insicuri d’Europa per
non parlare poi delle beghe
quotidiane tra presidenti
affaristi e istituzioni
(Federazione e Lega) sempre
meno forti.
C’è
un’occulta regia dietro
tutto ciò? C’è qualcuno
che vuole il calcio nel caos
per poterci mettere le mani
sopra?
E
a Napoli, poi? Sono lontani
i tempi di Maradona, ma
forse sono ancora più
lontani i tempi di uno
stadio relativamente
ordinato e composto nel
quale si assisteva alle
“aggressioni” commesse
dal trio Ma.Gi.Ca.
ai danni delle difese
avversarie.
Ora
la situazione societaria è
quella che è, questo a
qualcuno non va giù e
magari crede che azioni come
quelle di Avellino siano
necessarie per stravolgere
un “calcio moderno” nei
confronti del quale la
S.S.C. Napoli perde sempre
più terreno.
In
Inghilterra la violenza
imperversava negli stadi
fino a un paio di decenni
fa; ora, grazie ad una seria
azione repressiva, gli stadi
inglesi sono luogo di svago
per donne e bambini. Non
c’entra solo la
“cultura”, è una
questione di provvedimenti
presi rapidamente ed
applicati con la giusta
severità. Se ci sono
riusciti loro perché non può
accadere lo stesso qui?
Si
eviterebbero tragedie come
quella che ha colpito la
famiglia Ercolano; Sergio ha
salutato i genitori prima di
andare ad assistere ad un
incontro di calcio senza
sapere che non li avrebbe più
rivisti.
Antonio
Gagliardi
24/9/2003