Possiamo
pure immaginare
che il Napoli da
qualche anno sia
un
“figliastro”
della Federazione
e del campionato
italiano.
Quel
figlio-astro
che prende brutti
voti a scuola, che
ti tiene in ansia
che non ti da
quelle
soddisfazioni che
tu genitore
vorresti.
Lo
si è visto con la
punizione dopo i
tragici incidenti
di Avellino:
partita mai
giocata e persa più
stangata di 5
giornate di
squalifica del
campo da scontare
per giunta a porte
chiuse. Che sia
stata quella la
botta decisiva per
le sorti del
ciuccio?
Molti
a dire che la
punizione è stata
esemplare proprio
perché c’era il
Napoli, con
un’altra squadra
chissà…
Ma
è inutile
soffermarsi su
questo
interrogativo, non
lo sapremo mai; ma
c’è stato pure
chi ha detto che a
fare patti col
diavolo ci si
rimette sempre e
tanta benevolenza
una seconda volta
non viene mai
concessa.
Alla
fine della scorsa
stagione al Napoli
furono assegnati
dei rigori
alquanto dubbi che
probabilmente
furono
determinanti per
la permanenza in
serie B,
l’estate
successiva lo
scandalo delle
fideiussioni
fasulle che ha
visto coinvolta
pure la Roma che
si è salvata per
la vendita di
qualche giocatore
importante e per
la cessione da
parte di
Sensi di
alcune sue aziende
determinando così
l’aumento del
capitale. Qui lo
scenario non è lo
stesso: non ci
sono giocatori
dalla cessione dei
quali si potrebbe
ricavare cifre
notevoli né ci
sono, in ambito
societario,
risorse tali da
far confluire
nelle anemiche
casse ingenti
quantità di
liquidi. A Napoli
c’è stato un
presidente che ha
fatto ciò che ha
potuto (poco o
molto ormai non
conta più) senza,
ricordiamolo,
l’appoggio
incondizionato
della famiglia.
Stiamo
però attenti a
non cadere nel
vittimismo. Chi è
causa del suo mal
pianga sé stesso,
chi aveva un
enorme patrimonio
costituito
dall’affetto
della gente ha
fatto sì che la
gente si
allontanasse, chi
aveva un pur
ingente patrimonio
tecnico ha finito
per svendere
giocatori
interessanti
sostituendoli con
elementi non
all’altezza,
quando addirittura
non adatti alla
stessa causa
azzurra ma
arrivati perché
il Napoli ora
costituisce solo
un scalo
d’emergenza.
A
che titolo
possiamo chiedere
clemenza?
Piuttosto non è
che questa lunga
agonia sia stata
studiata per
rendere meno
indolore un sempre
più probabile
fallimento? Se il
Napoli fosse stato
dichiarato fallito
tre anni fa la
gente sarebbe
scesa in piazza,
ci sarebbe stata
un’indignazione
sicuramente
maggiore di quella
che potrebbe
esserci da qui a
qualche giorno.
I
tifosi sono per la
maggior parte
rassegnati,
preparati al
peggio; i più
ottimisti si
augurano una
soluzione del tipo
Fiorentina e cioè
ripartire anche
dalla C1 ma con
una società
solida, sgrassata
dai debiti e
con,in due-tre
anni, l’approdo
in A.
“Magari”,
si dice oggi.
“Ma siamo
impazziti” si
sarebbe detto
qualche anno fa,
questo perché si
è sempre sperato
che qualcuno,
chissà poi chi,
ci tirasse fuori
dai guai
all’ultimo
momento.
E
nemmeno guardando
in casa degli
altri si risolve
la questione;
anche il Parma è
nei guai fino al
collo, ma ha Gilardino
più qualche altro
pezzo da novanta,
la Lazio dovrebbe
trovare una
cordata di
imprenditori
pronti a
rilevarla, lo
spalmaingaggi non
è servito a
nulla, anzi qui lo
si potrebbe
definire un
azzeraingaggi
visto che oltre
alla distanza
siderale
dall’ultimo mese
retribuito,
sarebbe necessaria
una rinuncia del
60% dello
stipendio per ogni
calciatore, cosa
fuori dal mondo.
E
il buon Tonino?
Quel Matarrese
che in passato
pure ci ha
strizzato
l’occhio non
potrebbe fare
qualcosa? Proprio
lui, che sta
aspettando che il
Napoli vada in C1
per ripescare il
Bari in B.
Se
non possiamo fare
affidamento
neanche su
Matarrese, allora
proprio non è
destino.