LA FINE DELLE ILLUSIONI

SCIPPATI DELLA DIGNITA'

 

Tanta storia e tanta saggezza millenaria spingono l'uomo, il tifoso e il dirigente all'ottimismo condizionato da un'attesa che diventa in certi momenti spasmodica e ineluttabile. "Adda passà a'nuttata", quante volte questa massima ha addolcito terribili situazioni dando la forza di andare avanti a tutti quelli che, feriti nell'orgoglio o nella speranza, non riuscivano ad andare avanti senza un pungolo deciso? Nella città culla del proverbio, è difficile provare a credere ancora in quella che da ragione di vita si è dimostrata ormai vana illusione. La nottata non passa, dura da anni e perseguita chi ogni giorno pensa al San Paolo di una volta, una parentesi tonda accerchiata da spugne che tentano in ogni momento di cancellarla, che ogni giorno danno un colpetto ad un idillio dalla bellezza incommensurabile. Sbiadito ricordo l'immagine degli ottantamila festanti ed ebbri di felicità per la prodezza del bomber, graffito preistorico le scene di giubilo della serie A, delle epiche sfide contro squadre che oggi vanno in giro per il mondo ad esportare i propri colori. Cosa resta di quel periodo? Il ricordo. La sola rimembranza, perché ventiquattro mesi cancellano anche quell'ultimo appiglio mentale chiamato illusione, speranza, anelito. Chiudere gli occhi e sentire la pelle d'oca di migliaia e migliaia di cuori azzurri che gongolano, cantano e saltano. Non è possibile farlo, se non come romantico idillio appartenente ad un passato remoto, con l'illusione che anche in un futuro remoto possa accadere che via via va scemando. Chi non ha vissuto almeno una notte, un pomeriggio nel "Teatro dei Sogni", oggi impunemente - ma verosimilmente - chiamato stadio San Paolo, non può capire. La domenica alla Tv è difficile ritrovare uno spazio sul palcoscenico di quel grande teatro che è l'etere per sentire della squadra, un tempo era un'altra cosa. Perché il Tenni e non l'Olimpico, perché il Sinigaglia e non il Bernabeu? La delusione pesa di più per il nome che da più di mezzo secolo ci si porta stampato su una maglia storica e disonorata da una gestione che più va avanti, più prolunga un'agonia dovuta non ad un sortilegio né alla sfortuna, bensì ad una competenza che è merce rara di questi tempi. Gestione risorse voto due, gestione aziendale chissà, zero a quella tecnica. Non tattica, quello è un discorso a parte che non vale la pena affrontare se non come corollario di un postulato verificato: quando mancano le premesse, le conclusioni non possono essere certe. Entrando nel vivo del problema, invitare sul banco degli imputati Simoni o Marcolin, per quanto possa essere opinabile, serve a poco. Diceva un grande, e probabilmente molti grandi, che "per una grande squadra c'è bisogno di una grande società". Forse molti di questi grandi oggi non ci sono più, e con loro si son portati via una saggezza eterna e immortale, ma caduta nell'oblìo di questi tempi. Quando cioè il fine ultimo è individuato ma non studiato. La leggerezza con la quale è stata affrontato l'aspetto tecnico è sconcertante, e l'arbitro ultimo di tutte le diffide e controversie tra critica e società, il campo, dà palesemente ragione a chi non si fodera gli occhi di prosciutto, rompendo un muro di omertà diffuso anche nell'opinione pubblica da canali di comunicazione importanti. Vedere in quelle tabelle tanto care a chi deve riempire ogni giorno colonne di parole, immagini e pubblicità, i numeri del Napoli nella gestione Naldi fa venire i brividi, ben diversi da quelli che si provano alla visione della passione dei tifosi azzurri. Miglior risultato raggiunto in due anni, il quintultimo posto in serie B, attualmente non siamo né peggio né meglio del record dello scorso anno. A vantarsene ce ne vuole, sull'orlo di uno strapiombo che porta dritti dritti in quella dimensione che rappresenterebbe una profonda onta per l'intera città. Non c'è giustificazione che tenga per chi è colpevole di questa situazione. E l'alibi che ci si porta dietro da mesi e mesi, beh, è l'ora di metterlo da parte come cifra di buona fede e basta. Il Napoli salvato a suo tempo dal dottor Naldi, che pratica un'iniezione di adrenalina ad un malato destinato a morire a meno di un miracolo. Un'agonia durata due anni con momenti in cui, a sala operatoria vuota (l'estate, il calciomercato) sono mancati i fondi e i medici giusti per riabilitare il comatoso. Per colpa di chi? Di chi si è affidato a chi, ovvio, e di chi ha operato. Una caleidoscopica varietà di uomini, dirigenti, tecnici che ha fatto solo aggravare le condizioni di un paziente depredato delle sostanze e con un primario palesemente non idoneo al ruolo di taumaturgo. Il primario chiude le porte alla gente anche durante l'orario di visita, fa passare i familiari ma li lascia guardare dalla finestra. E quando la sala operatoria è di nuovo aperta, invece di operare comincia a vendere i macchinari adatti a salvare il paziente sempre più in crisi. E' questo un buon medico? No. Tanto valeva staccare la spina due anni fa e ripartire da una nuova situazione piuttosto che prolungare l'agonia a vittima e cari. Adesso però,senza vergogna per aver in passato calcolato male le possibilità del paziente, è l'ora che tutti capiscano di come il Napoli sia nelle mani di un dottore che ha sbagliato tutto per due anni e che adesso ha intenzione di uccidere il malato. E' grave infatti che a strumenti pronti si decide di smantellare. Mancando di rispetto ad assistenti medici (calciatori), ai cari (tifosi) e a tutti quanti sono vicini ad un malato (il Napoli) mai più prossimo alla fine. In cosa si può sperare? In un miracolo? No. Anche l'illusione di un intervento non spiegabile e non riscontrabile nel passato statistico è venuto meno. Bisogna voltarsi e guardarsi le spalle da pugnalate improvvise che possano portar via la creatura amata. Il dottore rischia di uccidere il paziente che ha tentato maldestramente e goffamente di curare per due anni. Senza il minimo risultato. Il dottore chiede aiuto, ma non è ben disposto ad accettarlo. Basta pensare alla guarigione, evitare la morte con la cicuta è però dignità. Quella che la Società Sportiva Calcio Napoli ha fatto perdere a Napoli da tempo immemore. E quella che i tifosi, come ultimo desiderio da un morente amore, chiedono: la dignità di soffrire umanamente, evitando di dover sportivamente nascondere la faccia ancora per lungo tempo. E per altro ancora. 

 

Marco Santopaolo                                     8/1/2004

 

 

 

INDIETRO