IL
PETISSO CREDE NELLA RIMONTA
Bruno
Pesaola, in arte il Petisso (il
piccoletto), è stato uno dei protagonisti
più interessanti della storia del calcio
italiano.
Argentino,
ala sinistra di grande rapidità, arrivò
in Italia nel 1946, ingaggiato dalla Roma.
Nella capitale subì un brutto incidente
che gli procurò la frattura di tibia e
perone, dopodiché fu ceduto al Novara.
Acquistato
dal Napoli nel 1952-53, vi restò fino al
1960, giocando da mezzala e collezionando
ben 204 presenze.
In
quegli anni la squadra napoletana giocava
nello stadio vomerese “Arturo Collana”
e la società, che si chiamava
Associazione Calcio Napoli, era il
giocattolo preferito del comandante Achille
Lauro, in quel periodo uno degli
uomini più ricchi d’Italia.
Insieme
ad Amadei e a “o banco ‘e
Napule” Jeppson (quest’ultimo,
arrivato quello stesso anno, fu pagato
l’astronomica cifra di 105 milioni) formò
un tris d’assi fenomenale, che divenne
un poker
nel 1955-56 con l’arrivo del
formidabile centravanti del Botafogo, Luis
Vinicio.
Nel
1960-61 Lauro cedette il Petisso
al Genoa, dove concluse la sua carriera di
calciatore.
Nel
1961-62 divenne subito allenatore degli
azzurri ed anche allora, come oggi, il
Napoli militava in serie B.
Subentrò
dopo pochi mesi dall’inizio del
campionato a Fioravanti Baldi, con Eraldo
Monzeglio nelle vesti di Direttore
Tecnico. Nella gara decisiva con il
Verona, in lotta anch’esso per la
promozione, la squadra di Pesaola si
impose con una rete di Corelli,
conquistando la massima serie.
Alla
fine di quella stagione la squadra del Petisso
riuscì a conquistare anche la Coppa
Italia, battendo nella finale di Roma la
Spal per 2 – 1.
I
protagonisti di quella splendida cavalcata
furono confermati in blocco, ma Pesaola
non poteva ancora allenare in serie A.
Nella massima serie gli azzurri non
seppero ripetersi ed il Napoli retrocesse
ancora.
Pesaola
riprese la guida della formazione
partenopea nel 1964-65, riguadagnando
ancora una volta la promozione in serie A.
Gara decisiva, stavolta, a Parma e
schiacciante vittoria azzurra per 3 – 1,
con doppietta dello scoppiettante Cané
e rete di Bean. Successivamente
vinse anche la Coppa delle Alpi grazie ad
uno straordinario Omar Sivori. Il Petisso
restò sulla panchina napoletana fino al
1967-68.
Nella
stagione 1968-69 passò alla Fiorentina e,
sotto la presidenza di Nello Baglini,
guidò i gigliati alla conquista del
secondo scudetto. La certezza matematica
arrivò l’11 maggio 1969 con il successo
per 2-0 sul campo della Juventus, grazie
alle reti di Chiarugi e di Maraschi.
Quest’ultimo sarà il capocannoniere del
campionato con 14 gol.
Nel
1974 Pesaola vinse la sua seconda
Coppa Italia alla guida del Bologna,
battendo il Palermo nella finale secca di
Roma dopo i calci di rigore (5-4, con tiro
decisivo di un altro ex azzurro, Eraldo
Pecci).
Nel
1976-77 ritornò
sulla panchina del ciuccio,
ereditando, in parte, quella che era stata
la meravigliosa squadra di Luis
Vinicio. Il piazzamento in campionato
fu tutt’altro che brillante ma in Coppa
delle Coppe riuscì ad arrivare sino alla
semifinale. Soltanto un clamoroso errore
dell’arbitro inglese Matthewson,
che contro il fortissimo Anderlecht annullò
per fuorigioco una rete decisiva di Speggiorin,
estromise il Napoli dalla competizione.
Al
termine della stagione, attratto da
migliori offerte economiche, fece ritorno
al Bologna, lasciando la squadra azzurra
nelle mani di Gianni Di Marzio.
L’ultima
sua apparizione sulla panchina partenopea
risale al campionato 1982-83, quando a
stagione in corso rilevò Massimo
Giacomini, in tandem con Rambone, ed
evitò al Napoli un’altra retrocessione.
Da
allora sono passati vent’anni ma quel
legame così speciale con Napoli ed il
Napoli, di cui è un gran tifoso, non si
è mai spezzato. A partire dal suo primo
arrivo in città, nel 1952, Bruno
Pesaola vive all’ombra del Vesuvio.
Terminata
la carriera di allenatore ha dimostrato
tutta la sua classe anche come
commentatore ed opinionista per
trasmissioni televisive campane e per Il
Mattino.
Tre
anni fa, quando il neo patron del Napoli, Salvatore
Naldi, lo chiamò alla sua corte, il Petisso
dichiarò che lo scudetto vinto come
allenatore della Fiorentina avrebbe
preferito molto di più vincerlo alla
guida del suo amato Napoli.
E
proprio del Napoli, ad iniziare dal
presidente, abbiamo parlato con lui nel
corso di una conversazione telefonica.
Qual
è il suo consiglio più importante che
Naldi ha deciso di seguire?
“Nessuno.
Infatti è per questo che sono andato
via”.
Ma
come, non è stato lei ad indicare a Naldi
il nome di Scoglio?
“No,
assolutamente. E’ stato Moggi”.
Cosa
consiglierebbe
per il mercato di riparazione di
gennaio?
“Io
un’idea precisa di cosa servirebbe al
Napoli ce l’ho ma di nomi non ne faccio.
Simoni sa sicuramente cosa indicare alla
società e quali calciatori prendere. Se
poi coincideranno con quelli che penso io
allora vuol dire che siamo sulla stessa
lunghezza d’onda”.
Cosa
pensa dell’eventuale cessione di
Dionigi?
“Se
fossi sicuro che Dionigi è lo stesso
dell’anno scorso direi di no. Però
anche Maradona si può vendere se al suo
posto arriva uno più forte. Chiunque può
essere ceduto se lo si rimpiazza con gente
di valore”.
Ci
crede alla rimonta promessa da Simoni?
“Si.
Simoni è un allenatore esperto, ha
ottenuto tante promozioni in passato. Sa
quello che dice. A me piace moltissimo
proprio perché è uno che non bluffa. Ho
molta stima di lui”.
Chi
l’ha più delusa fino ad ora tra i
calciatori del Napoli?
“No,
non mi faccia dire queste cose”.
Allora
ci dica chi le è piaciuto di più.
“Beh,
nessuno mi ha impressionato più di tanto.
Sto seguendo con attenzione Floro Flores,
che è un ragazzo in gamba. Credo che
migliorerà sempre di più con il passar
del tempo. Per il resto speriamo di parlar
bene di tutti più avanti”.
Lei
ha più volte dichiarato che il calcio
attuale non la diverte più. Perché?
“Perché
ha tolto molto alla fantasia, all’estro,
all’inventiva. Oggi il calcio è
soprattutto una questione fisico-atletica,
i calciatori sono più dei corridori che
dei talenti”.
Chi
è attualmente il miglior allenatore?
“Tutti,
se hanno del buon materiale umano per le
mani. Paradossalmente credo che sia più
bravo un allenatore che senza grandi
risorse tecniche riesca a salvarsi da una
retrocessione piuttosto che chi allena il
Milan, la Roma o la Juve. Sempre
ragionando per paradossi, è il grande
Milan che ha fatto Sacchi e non
viceversa”.
Ci
tolga un paio di curiosità. Chi le ha
affibbiato il nomignolo di Petisso?
“Me
lo sono portato dietro
dall’Argentina”.
C’è
una leggenda che dice che lei faceva
ascoltare ai suoi calciatori una canzone
di Peppino Gagliardi. E’ vero?
“Non
è affatto una leggenda, è verissimo. Con
il mangiadisco ascoltavamo tutto il
repertorio di Peppino Gagliardi. Ai
ragazzi piaceva. Era la nostra
mascotte”.
Forse
è anche per questo, per un modo diverso
di intendere il calcio e di viverlo, che
al Petisso lo sport della pedata
non diverte più.
Riuscirà
il Napoli a fargli cambiare idea?
Rino
Scialò
24/12/03
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