LA
CRISI ECONOMICA DEL CALCIO
Sono
diversi anni che il calcio non naviga più nell’oro; questo modo di dire può
sembrare fuori luogo se si considerano gli emolumenti tuttora percepiti dai
calciatori e le cifre che si muovono per talune operazioni di mercato, tuttavia
non è più la stessa musica di 10-15 anni fa.
Berlusconi
“scese in campo” nel 1986, acquistò il Milan, immise miliardi freschi nel
mercato, creò il Milan1 ed il Milan2 dando al calcio un’impronta
imprenditoriale. Chi poté si adeguò all’andazzo, lasciando così briciole a
chi non aveva sinergie da sfruttare.
Il
Napoli è una delle società che più ha patito questo cambiamento; forte degli
ottantamila che riempivano il S. Paolo e con in più una squadra di vertice
aveva un posto al sole nel calcio che contava.
Una
volta finita l’era Maradona, un generale ridimensionamento impose sacrifici
tecnici che impoverirono la squadra con la conseguenza sia di uno stadio anno
dopo anno sempre più vuoto che dell’allontanamento di una classe politica ed
imprenditoriale scesa da un carro non più vincente.
Il
Napoli resta la punta dell’iceberg di una crisi che sta strangolando sempre
più un Mezzogiorno che si vedrà, al via del prossimo campionato,
rappresentato solo da due compagini.
Ma
il sistema sta cominciando a scricchiolare anche al Nord; le vacche grasse non
potevano durare in eterno. Una buona dose d’ incompetenza ha fatto sì che
giocatori sopravvalutati fossero prima acquistati a peso d’oro e poi
svenduti, l’aumento a dismisura del monte ingaggi grazie alle pay-tv e
all’opera di spregiudicati manager ha messo in seria difficoltà alcuni club
che sembravano in una botte di ferro e che ora non sanno dove reperire denaro
per gli onorare gli stipendi.
Un
impoverimento economico, ma anche tecnico visto che alcune stelle (Ronaldo,
Zidane) hanno fatto le valigie lasciando un campionato non più ambito come un
tempo.
Tutto
ciò si ripercuote anche sul mercato. I campioni chi li ha se li tiene ben
stretti ed è difficile se non impossibile trovare una società disposta a
sobbarcarsi le cifre necessarie per acquistare i pezzi più pregiati in
circolazione.
Ma
forse non tutto il male viene per nuocere. Si potranno sfruttare meglio i vivai
finora fortemente ostacolati dal continuo utilizzo di atleti di provenienza
estera, ed oltretutto, una gestione più oculata delle risorse può permettere
ad una piazza, anche di non grandi ambizioni, di occupare un posto stabile nel
gotha del calcio.
E
poi, diciamolo, questo sport è sempre più esasperato; per i grandi club che
ogni anno investono milioni conta solo lo scudetto o la Champions, arrivare
secondi è già un fallimento. Mentre per le cosiddette “piccole” finire il
campionato con un piazzamento in classifica migliore di una “big” che per
un solo giocatore spende una cifra sufficiente per il mantenimento di
un’intera rosa di giovani, se non la si può chiamare vittoria, è
senz’altro un’enorme soddisfazione.
20/6/2003
Antonio
Gagliardi
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