LA
POTENZA
DEL
MARCHIO
"NAPOLI"
Massimiliano
Tresca,
esperto
di
marketing:
<<Gestirlo
bene coprirebbe
il
35%
del
fatturato
complessivo>>
di
Marco
Santopaolo
Via
Caracciolo
è,
per
i
napoletani,
la
strada
più
bella
del
mondo.
Così
come
per
i
francesi
gli
Champs
Elisées
rappresentano
un
percorso
metaempirico.
Due
simboli,
due
marchi
per
connotare
due
città,
Napoli
e
Parigi.
Vedi
Napoli
e
poi
muori,
si
diceva
e
si
dice.
Vedi
il
Napoli
e
poi,
beh,
fai
qualcosa
per
risollevarlo,
il
motto
verrebbe
così.
Rimboccarsi
le
maniche
ed
agire,
dunque,
e
da
dove
partire
se
non
dal
marchio
del
Napoli?
Un
nome
che
ha
girato
il
mondo,
portato
sulle
spalle
della
Ma.Gi.Ca.
e
di
tanti
altri
ancora,
prima
e
dopo.
Ancora
oggi
il
nome
Napoli
tira,
non
come
una
volta,
certamente.
E'
tuttavia
da
qui
che
bisogna
ripartire,
dal
fatto
che
nonostante
questi
ultimi
disgraziatissimi
anni
il
nome
Napoli,
per
dirla
tutta,
"o'
Napule"
sia
ancora
in
auge.
Ne
parliamo
con
un
esperto
di
marketing
del
settore.
Lui
è
il
dottor
Massimiliano
Tresca,
laureato
in
economia
e
commercio
con
un
master
in economia
e
gestione
dello
sport conseguito
all'Università
romana
di
Tor
Vergata.
E'
giovane,
ha
30
anni
ma
vanta
diverse
esperienze
in
società
professionstiche.
E'
autore
di
un
lavoro
sulla
valutazione
del
marchio
da
iscrivere
in
bilancio
per
le
società
Avellino
e
Ascoli.
-
Dottor
Tresca,
nonostante
il
Napoli
sia
in
pessime
condizioni,
il
suo
nome
tira
ancora.
Come
dovrebbe
comportarsi
la
società
di
fronte
a
questo
importante
fattore?
Il
marketing
di
una
società
può
trarre
soldi
da
merchandising,
sponsorizzazioni
e
dallo
sfruttamento
del
marchio
per
fini
commerciali.
La
dipendenza
di
queste
fonti
di
entrate
rispetto
al
risultato
sportivo
è
fortissima.
La
falsificazione
(problema
vicino
alla
realtà
napoletana) frena
molto
anche
se
politiche
differenziate
di
prezzo
e
di
prodotti
possono
portare
a
buoni
risultati.
Per
far
fronte a
questo
fenomeno,
si
è
pensato
bene di
adottare
un
sistema
di
anti-sofisticazione
mediante
ologrammi e si
è
studiata
la
messa
in
commercio di
prodotti
con
il
marchio
societario
ma
di
materiale
di
qualità
inferiore
rispetto
all'originale.
Spesso
il
problema
non
è
la
truffa
al
consumatore
quanto
il
fatto
che
con
15
euro
chi
compra
sa
bene
di
non
acquistare
un
originale,
sebbene
il
rapporto
falso-originale sia
elevato,
di
1
a
7.
Se
si
mettessero
le
maglie
a
un
prezzo
medio,
tipo
30
euro,
il
consumatore
verrebbe
spinto
a
comprare
un
prodotto
di
qualità.
-
Quali
sono
le
iniziative
nel
campo
dello
sponsoring
che
porterebbero
importanti
introiti
nelle
casse
del
Calcio
Napoli,
recuperando
in
tal
modo
i
600
mila
tifosi
persi
in
questi
anni
(dati
forniti
dall'Ufficio
Marketing
del
Calcio
Napoli...)?
Il
problema
dello
sponsoring
non
tocca
solo
la
realtà
del
Napoli.
Il
ragazzino
di
oggi
non
tifa
questo o
quel
giocatore
del
Napoli,
ma
il
campione
sponsorizzato:
tifa
Real
perché
c'è
Beckham,
tifa
Milan
perché
c'è
Shevchenko.
Bisogna
allora
vedere
statisticamente
il
"ciclo
di
vita"
del
tifoso,
il
lasso
di
tempo
in
cui
un
ragazzo
diventa
tifoso.
Si
è
visto
che
l'età
corrisponde
ai
12-13
anni.
Bisognerebbe
studiare
iniziative
di
fidelizzazione
per
quelle
età.
Ne
discende
che
sarebbe
importante
coinvolgere
le
scuole,
magari
integrando
questi
progetti
con
iniziative
socio-culturali
che
sarebbero
di
grande
interesse. Una
buona
percentuale dei
bambini
in
quella
fascia
di
età
è
obesa:
organizzare
in
tal
senso
un
progetto
che
coinvolga
il
bambino
all'educazione allo
sport e
alla
salute attraverso
stage
e
convegni,
non solo offrirebbe
un
notevole
ritorno
di
immagine,
ma sarebbe
anche
una
forte
pratica
commerciale
in
quanto
il
bambino
si
legherebbe
ai
colori
della
società.
Così
come
qualsiasi
ragazzo
tolto
dalla
strada. Altro
viatico
per
la
realizzazione
di
un
buon
marketing è
la
creazione
di
un
network
di
scuole
calcio per
il
settore
giovanile,
fornire
strumenti
di
natura
tecnica
e
informativa
basati
sempre
su
seminari,
convegni
e
stage
volti
alla
fidelizzazione
degli
associati.
-
Quali
invece
le
iniziative
"non
praticabili",
e
che
sarebbe
sbagliato
adottare?
Un'iniziativa
che
per
quanto lodevole
non
è
attuabile
è
quella
della
fidelity-card.
Ora
è
fuori
luogo
perché
un'iniziativa
del
genere
richiede
il
giusto
timing
di
azione:
va
fatta
quando
la
squadra
va
bene.
L'iniziativa
è
lodevole,
ripeto,
in
quanto,
con
i
tempi
giusti,
si
avrebbe
una
grande
fidelizzazione
del
consumatore
e
si
avrebbe
un
monitoraggio delle
abitudini
di
spesa,
in
modo
da
sapere
dove
intervenire in
commercio. Voglio
inoltre
puntualizzare
un
aspetto
sulla
tanto
discussa
gestione
dello
stadio
"San
Paolo":
se
anche
Naldi
riuscisse
ad
ottenere
lo
stadio,
cosa
ci
farebbe?
Non
si
possono
fare
attività
collaterali
(cinema,
musei,
ristoranti)
in
quanto
la
struttura
del
San
Paolo
non
lo
consentirebbe
e
ci
sarebbe
bisogno
di
un
investimento
inimmaginabile
per
portarlo
a
norma.
L'Arsenal,
nella
costruzione
del
nuovo
stadio,
ci
sta
rimettendo.
Una
soluzione
sarebbe
una
sorta
di
"San
Paolo
2000"
sul
modello
di
"San
Siro
2000",
una
società
costituita
in
compartecipazione
uguale
da
Milan
e
Inter
(50
e
50)
con
concessione
trentennale
dello
stadio
e
organizzazione
di
concerti
e
sky
box.
Di
più,
è
utopia.
-
Quanto
può
valere,
oggi,
il
marchio
del
"Calcio
Napoli"?
La
valutazione
di
un
marchio
è
complessa,
ma
con
dei
riferimenti
numerici
diventa
intuitiva.
Il
marchio
del
Calcio
Napoli
è
stimato
su
5-6
milioni
di
tifosi.
Rilevamenti
statistici
dettagliati
e
precisi
ci
presentano
la
quota
di
mercato
di
ogni
singolo
club.
In
questa
classifica, al
primo
posto
c'è
la
Juve,
con
un
notevole 31.4%.
Segue
l'Inter
con
il
18%,
poi
Milan
con
16,5%
e
Napoli
con
5.2%.
La
Future
Brand
ha
inoltre
valutato
il
marchio
di
ogni
società.
Quello
della
Juve
vale
210
miliardi,
quello
dell'Inter
160
e
quello
della
Roma
100.
Il
Napoli?
Per
stimare
il
marchio
del
Napoli
basta
confrontare
la
sua
quota
di
mercato
(5,2%)
con
quella
della
Roma
(2,8%):
ne
discende
che
il
marchio
degli
azzurri
vale
di
più
rispetto
a
quello
dei
capitolini.
Napoli,
tra
l'altro,
è
una
città
che
ha
una
sola
squadra
cittadina.
- Gli
scenari
cambierebbero
al
profilarsi
di situazioni
differenti?
Naturalmente.
In
caso
di
fallimento,
una
società
nuova (una
"Polisportiva
Napoli")
acquisterebbe
il
marchio
in
base
ad
una
valutazione
arbitraria
di
un
tribunale
fallimentare.
Della
Valle
ha
comprato
il
marchio
Acf
Fiorentina
per
5
miliardi.
In
caso
di
una
retrocessione,
parlando
per
assurdo,
nonostante
il
marchio
dipenda
fortemente
dal
risultato
sportivo
comunque
va
tenuto
conto
che
ci
sono
forti
parametri
che
ne immunizzano
il
valore, quali
il
blasone.
Esempio:
proprio
questo
mi
ha
permesso
di
valutare
il
marchio
di
Avellino
e
Ascoli
fra
i
900
mila
e
1,1
milione
di
euro,
per
il
loro
passato
in
serie
A
più
che
per
il
bacino
di
utenza,
benché
le
loro
quote
di
mercato
siano
quasi
irrisorie
(circa
0,6%).
La
mia
idea,
in
ogni
caso,
è
che nella
malaugurata
ipotesi
di
una
retrocessione, il
Napoli
fallisca.
-
Da
uno
a
dieci:
come
sta
agendo
il
Napoli
nel
settore
marketing?
Un
6,5
per
l'impegno,
la
situazione
è
difficile.
-
Quale
può
essere
l'incidenza
percentuale
degli
introiti
derivanti
dallo
sfruttamento
marchio
sul
fatturato
complessivo?
Nel
caso
del
Napoli,
fatto
per
bene
anche
un
30-35%.
Sì,
è
proprio
così.
Sarebbe
un
ottimo
punto
di
sviluppo,
d'altronde
lo
stesso
Franco
Sensi,
se
deciderà
di
cedere
la
Roma,
comunque
pare
orientato
a
tenersi
il
settore
marketing.
Il
futuro
di
ogni
società
passa
per
questo
aspetto.
24/2/2004