L'INCOGNITA GIUDIZIARIA

 

 

La vicenda giudiziaria Catania introduce un elemento nuovo e destabilizzante per il campionato.

L’alea e l’incertezza della partita, gli errori arbitrali, la sfortuna - che dispensando qua e là infortuni ed episodi rocamboleschi – non bastavano.

Chi si ritiene danneggiato si sente legittimato a “correggere” le storture di cui si ritiene vittima col ricorso all’autorità giudiziaria, ben al di fuori dei meccanismi previsti dalla Federazione per la composizione delle liti, pure possibili ed abbondanti, che nascono dai fatti del torneo.

Il sistema istituzionalizzato per risolvere le controversie è quello degli organi di giustizia federale, che vede nella CAF il grado più elevato.

Al di fuori di questo sistema, non resta che ricorrere ai Tribunali Amministrativi , investiti del potere di vagliare e – nel caso – annullare i provvedimenti emessi dagli organi di giustizia sportiva, che rientrano tra i provvedimenti di natura pubblicistica (infatti sono emessi da un organo della FIGC, ente “pubblico”) e perciò censurabili dai TAR.

Così però si rompono le regole, e si sfasciano i presupposti su cui si regge il sistema.

Anzitutto, tutti accattano di sottostare alle decisioni della giustizia sportiva, che, coi tanti difetti, assicura comunque decisioni relativamente rapide e compatibili con i tempi contingentati del campionato.

Non c’è alternativa. I tempi della giustizia ordinaria, che oltretutto interverrebbe all’esaurimento del procedimento “giudiziario” federale, non sono compatibili con le necessità del sistema calcio.

Il sistema, invece, impone che siano quanto più possibile contenuti i fenomeni di creazione di “assi” nella manica da parte di chicchessia. Si è detto “assi” nella manica, e di che altro si tratta sennò?

Che una squadra che lotta per la serie A, o per evitare la retrocessione, conservi il potere di fruire, a fine campionato, di una carta da giocare per aggiustare l’esito del torneo, se non gli piace, lascia molto perplessi. Gli avversari sono messi in una condizione di impotenza, non potendo rispondere sul campo – questo sì che dovrebbe essere il vero Tribunale – alle improvvise accelerazioni in classifica sulla spinta di decisioni giudiziarie.

Si replicherà che chi sostiene di aver subito una ingiustizia non può restare inerte ed ha il diritto di tutelarsi con tutti i mezzi a disposizione, considerato anche gli enormi interessi in gioco, soprattutto di natura economica. Ma, le altre compagini potrebbero fondatamente replicare che è loro diritto non proseguire nel campionato fintanto che non si sia definita la questione controversa.

Però, i tempi del calcio non aspettano, non possono aspettare: la passione è frutto anche di quel rito che si ripete domenica dopo domenica e non può essere interrotto da vicende giudiziarie che, peraltro, sulla sciagurata onda di un precedente, rischiano di replicarsi all’infinito.

Entrare in un meccanismo significa anzitutto accettarne le regole.

Alcune, anche se – forse – limitative di un proprio diritto, vanno guardate come tese a preservare un gioco, fatto di delicati equilibri e di cadenze definite: pensate cosa potrebbe accadere se  a qualche dirigente venisse in mente di contestare in maniera poco “ortodossa” i provvedimenti di squalifica del giudice sportivo, adottati settimanalmente: sarebbe il caos.

L’auspicio è senza dubbio quello di una presa di posizione dei vertici federali nel senso di disincentivare con ogni mezzo atteggiamenti come quelli tenuti dai siciliani.

 

  3/6/2003

Flavio Riccelli

INDIETRO