E’
l’ultimo
aiuto
di
Franco
Sensi
alla
Roma.
La
sua
partecipazione
all’aumento
di
capitale
in
corso
ne
segna
il
distacco:
come
si
legge
a
pagina
16
del
Prospetto
informativo,
«la
società,
per
quanto
oggi
a
sua
conoscenza,
non
beneficerà
più
di
tali
contributi,
a
decorrere
dall’esercizio
2004-2005».
Si
tratta
di
quanto
Roma
2000,
azienda
del
gruppo
Sensi
che
controlla
la
Roma
con
il
61,689%
delle
azioni,
ha
fornito
alla
società
giallorossa,
specialmente
negli
ultimi
due
anni,
quando
lo
squilibrio
economico
e
finanziario
è
emerso
vistoso.
Sono
cifre
rilevanti:
60
milioni
di
rinuncia
a
propri
crediti,
47
milioni
e
mezzo
per
il
precedente
aumento
di
capitale,
44
milioni
e
570
mila
euro
per
l’accollo
di
debiti.
Dunque,
d’ora
in
poi,
o
la
Roma
sarà
in
grado
di
camminare
sulle
proprie
gambe
o
dovrà
trovare
nuovi
soci
che
le
garantiscano
gli
investimenti
assicurati
finora
da
Sensi.
In
caso
contrario,
andrà
incontro
a
un
inevitabile
ridimensionamento.
Un
rischio
segnalato
esplicitamente
a
pagina
21
del
Prospetto,
ma
anche
successivamente,
sotto
la
seguente
dicitura:
«La
Roma
potrebbe
non
essere
in
grado
di
mantenere
l’attuale
livello
di
competitività
della
rosa
dei
calciatori
che
compongono
la
prima
squadra».
Insomma,
Capitalia
ha
un
altro
problema
da
risolvere:
trovare
un
nuovo
proprietario
per
i
giallorossi.
Ricordiamo
che
il
gruppo
bancario,
oltre
a
essere
l’azionista
di
riferimento
della
Lazio,
è
diventato
un
socio
importante
anche
della
Roma.
La
catena
è
lunga:
l’istituto
presieduto
da
Cesare
Geronzi
detiene
il
49%
della
Compagnia
Italpetroli,
che
ha
il
95%
di
Roma
2000,
che
a
sua
volta
ha
il
61,689%
della
Roma.
In
altre
parole,
Capitalia
controlla
il
28,72%
della
Roma.
Dunque,
il
percorso
giallorosso
non
sarà
breve
né,
probabilmente,
indolore
perché
i
conti,
seppure
in
miglioramento,
restano
fortemente
negativi.
Nella
stagione
2001-2002,
il
bilancio
chiuse
con
un
modesto
utile
di
787mila
euro
solo
grazie
all’incredibile
serie
di
plusvalenze
fittizie
realizzate
con
squadre
medio-piccole:
95
milioni
e
384mila
euro.
Il
loro
svanire
nel
2002-2003
ha
portato
un
rosso
di
115
milioni
e
400mila
euro:
9
milioni
e
620mila
euro
mensili.
Non
sono
ancora
disponibili
i
dati
finali
dell’ultimo
esercizio:
ci
si
ferma
al
30
aprile
2004,
cioè
ai
primi
dieci
mesi.
Ebbene,
le
perdite
sono
ammontate
a
61
milioni
e
297mila
euro,
ossia
a
6
milioni
e
130
mila
euro
mensili.
Un
miglioramento
evidente,
ma
non
sufficiente,
dovuto
essenzialmente
al
venir
meno
di
ingaggi
pesanti
come
quelli
di
Cafu
e
Batistuta,
e
dell’ammortamento
annuo
per
il
centravanti
argentino,
pari
a
poco
più
di
23
miliardi
annui
di
vecchie
lire,
cifra
che
si
ottiene
dividendo
il
costo
di
acquisto
(70
miliardi)
per
la
durata
triennale
del
suo
contratto.
La
recente
vendita
di
Samuel
al
Real
Madrid
ha
prodotto
una
plusvalenza
di
17
milioni
e
100mila
euro:
si
può
perciò
stimare
a
spanne
una
perdita
finale
annua
pari
a
una
sessantina
di
milioni.
Sui
conti
del
nuovo
esercizio
pendono
una
serie
di
punti
interrogativi:
anzitutto,
il
risultato
dell’aumento
di
capitale.
In
secondo
luogo,
il
cammino
che
la
squadra
riuscirà
a
fare
nella
Coppa
dei
Campioni,
o
Champions
League
come
si
chiama
oggi,
a
cui
è
legata
buona
parte
del
fatturato.
Quanto
alla
ricapitalizzazione,
si
saprà
tutto
alla
fine
del
mese:
il
30
luglio
è
l’ultimo
giorno
per
l’esercizio
dei
diritti
inoptati.
Ma,
anche
in
caso
di
integrale
sottoscrizione
dei
145
milioni
e
600mila
euro
richiesti,
la
società
giallorossa
ha
ammesso
a
pagina
26
del
Prospetto
di
«non
poter
escludere
che
in
futuro
sia
necessario
ricorrere
ad
ulteriori
aumenti
di
capitale
al
fine
di
garantire
il
raggiungimento
del
riequilibrio
economico
e
finanziario».
E’
peraltro
davvero
improbabile
che
la
ricapitalizzazione
abbia
pieno
successo.
Nemmeno
Roma
2000
sottoscriverà
tutta
la
sua
parte:
degli
89
milioni
e
819mila
euro
di
competenza,
parteciperà
per
circa
la
metà,
ossia
per
44
milioni
e
570
mila
euro.
Uno
dei
capitoli
dolenti
riguarda
il
rapporto
con
il
Fisco:
al
30
aprile
il
debito
tributario
complessivo,
per
omessi
e
ritardati
versamenti
di
imposte
e
ritenute,
era
pari
a
141
milioni.
La
società
giallorossa
ha
aderito
alla
sanatoria
prevista
sia
per
il
2002
che
per
il
2003:
l’importo
da
versare
è
pari
a
78
milioni
e
mezzo
da
dividere
in
tre
rate
uguali.
La
prima
scadrà
il
20
luglio,
le
altre
il
18
ottobre
e
il
27
dicembre.
Sono
appuntamenti
importanti
perché,
se
rispettati,
produrrebbero
un
risparmio
di
19
milioni
e
700mila
euro
di
mancate
sanzioni.
Agli
attuali
prezzi
di
mercato
è
il
costo
di
un
fuoriclasse.
Infine,
è
solo
questione
di
tempo
la
materializzazione
dei
problemi
che
la
legge
27
del
21
febbraio
2003,
la
cosiddetta
«spalma
perdite»,
ha
soltanto
rinviato.
I
fatti
sono
noti:
la
norma
ha
permesso
di
svalutare
il
patrimonio
calciatori
e
di
ripartire
in
dieci
anni
la
perdita,
invece
di
imputarla
ad
un
solo
esercizio,
come
previsto
dalla
legge
italiana,
da
quella
comunitaria
e
dai
princìpi
contabili
nazionali
e
internazionali.
Al
30
aprile,
il
valore
residuo
da
ammortizzare
era
di
113
milioni
e
550mila
euro.
Mercoledì
scorso,
la
Commissione
Ue
ha
chiesto
all’Italia
di
cambiare
la
norma.
Per
le
società
quotate
in
Borsa
c’è
un
guaio
in
più:
dal
primo
gennaio
2005
dovranno
redigere
i
bilanci
secondo
gli
standard
internazionali.
Tocca
ai
singoli
governi
emanare
la
norma
per
l’estensione
obbligatoria:
il
nostro
non
ha
ancora
provveduto.
IL
MISTERIOSO
GIRO
D'ITALIA
DI
BLASI
Tre
milioni,
321mila
e
162
euro,
che,
in
lire,
equivalgono
a
sei
miliardi,
430
milioni
e
spiccioli:
è
questa
la
cifra
chiesta
alla
Roma
dall’ex
direttore
generale,
Fabrizio
Lucchesi.
Licenziato
nel
febbraio
2003,
dal
settembre
dello
stesso
anno
è
il
responsabile
organizzativo
della
Fiorentina.
Alla
base
della
pretesa
ci
sono
la
mancata
corresponsione
dell’indennità
di
preavviso
e
di
quella
supplementare
per
licenziamento
ingiustificato,
nonché
il
risarcimento
del
danno
per
«licenziamento
ingiurioso».
La
prima
udienza
si
è
svolta
il
26
maggio,
la
prossima
si
terrà
mercoledì
della
prossima
settimana.
Quella
di
Fabrizio
Lucchesi
non
è
l’unica
causa
di
lavoro
che
coinvolge
la
Roma:
in
totale,
come
si
evince
dal
Prospetto
informativo
dell’aumento
di
capitale,
il
contenzioso
sfiora
i
10
milioni.
IL
DG
LUCCHESI
PRESENTA
IL
CONTO
Mercato
in
crisi?
Prezzi
crollati
rispetto
alle
recenti
follie?
Assolutamente
vero
ed
evidente.
Ma
non
per
tutti.
Lo
dimostra
la
storia
di
Manuele
Blasi,
passato
dal
Perugia
alla
Juventus
nell’estate
2003.
Per
la
società
del
presidente
Gaucci,
il
trasferimento
del
centrocampista
ha
prodotto
una
plusvalenza
pari
a
ben
17
milioni
e
736mila
484
euro:
in
lire,
poco
più
di
34
miliardi
e
342
milioni.
Grazie
a
quell’affarone,
il
bilancio
si
è
chiuso
con
una
perdita
di
soli
due
milioni
e
182mila
euro
e
il
patrimonio
netto
si
è
attestato
a
due
milioni
e
571mila
euro:
in
caso
contrario,
Gaucci,
o
meglio
la
Kilpeck
Overseas
Corporation
che
detiene
il
99,5%
delle
azioni,
avrebbe
dovuto
ricapitalizzare
per
circa
15
milioni
e
200mila
euro.
Ma
la
Juventus
aveva
davvero
talmente
bisogno
di
Blasi
da
strapagarne
il
cartellino?
Niente
affatto.
Qualche
settimana
dopo
il
suo
arrivo
a
Torino,
egli
è
stato
prestato
al
Parma.
Quali
allora
i
motivi
che
hanno
spinto
i
due
Luciani
(Moggi
e
Gaucci)
a
chiudere
la
trattativa?
Impossibile
stabilirlo
con
certezza:
tuttavia,
un
indizio
importante
è
dato
dal
nome
del
procuratore
del
giocatore:
la
Gea,
nota
società
della
quale
il
presidente
è
Moggi
junior,
tra
i
cui
soci
figura
Chiara
Geronzi,
figlia
di
Cesare,
numero
uno
di
Capitalia,
gruppo
bancario
che
all’epoca
deteneva
in
pegno
tutte
le
azioni
possedute
dalla
Kilpeck.
Proprio
quel
valore
attribuito
a
Blasi,
obbliga
oggi
la
Juve
a
ipervalutarlo
nelle
trattative
per
Emerson:
pena
una
grossa
minusvalenza
in
caso
di
vendita.