MURDOCH
ARRIVA,
L'ASSISTENZIALISMO
CALCISTICO
PROCEDE
Che
l’universo
pallonaro
dello
Stivale
attraversasse
da
qualche
tempo
a
questa
parte
una
fase
di
coma
irreversibile,
è
cosa
risaputa
a
molti.
Qualcun
altro
va
addirittura
oltre,
sostenendo
che
dopo
i
recenti
sviluppi
del
tormentone
relativo
alla
vicenda
dei
diritti
televisivi,
con
la
sostanziale
(anche
se
non
del
tutto
formale)
acquisizione
del
monopolio
del
calcio
criptato
in
capo
al
colosso
Sky,
leggasi
Rupert
Murdoch,
magnate
australiano
delle
comunicazioni
con
interessi
in
tutto
l’arco
del
globo,
sarebbe
forse
meglio
staccare
definitivamente
la
spina
di
un
respiratore
che
non
basta
più
a
tenere
in
vita
un
malato
cronico
come
il
pallone
di
casa
nostra,
che
ha
dimostrato
ancora
una
volta
di
non
poter
andare
avanti
da
solo
per
tutta
una
serie
di
ragioni,
legate
interamente
all’aspetto
economico:
debiti
fino
al
collo,
nessun
imprenditore
nostrano
disposto
più
ad
investire
(per
la
serie,
No
business?
No
party!),
scoperta
di
quegli
altarini
rappresentati
da
operazioni
di
mercato
portate
avanti,
in
un
passato
fin
troppo
prossimo,
solamente
sulla
carta
con
gli
investimenti
concreti
brutalmente
sacrificati
sull’altare
delle
plusvalenze.
E
così,
eccoti
venir
fuori
il
riccone
d’oltreoceano
che
si
propone
come
panacea
per
tutti
i
mali,
attraverso
una
complessa
ma,
in
fin
dei
conti,
semplice
operazione:
mettere
soldi
freschi
sul
tavolo
garantendo
liquidità
immediata
e,
con
essa,
la
sopravvivenza
stessa
di
alcune
realtà
di
provincia
della
massima
serie.
Eloquenti
le
parole
del
capitano
dell’Ancona
Dino
Baggio:
“Qui
ci
sono
in
ballo
i
nostri
stipendi!”.
Dimostrazione
lampante
di
come
i
tanto
famigerati
diritti
televisivi
siano
diventati,
da
7-8
stagioni
a
questa
parte,
la
principale,
se
non
l’unica
fonte
di
sostentamento
delle
società
professionistiche
tout-court,
utilizzando
questa
espressione
per
distinguere
le
realtà
maggiori
da
quelle
di
terza
o
serie
o
dilettantistiche
che,
pur
tra
mille
problemi,
iniziano
ad
intravedere
l’uscita
del
tunnel.
Pur
in
presenza
di
un
quadro
a
tinte
fosche,
non
ci
troveremmo
innanzi
ad
una
vicenda
paradossale
se
non
intervenisse
un
piccolo
particolare.
Perché
Sky
è
riuscita
(di
fatto,
ribadiamo)
ad
ottenere
il
monopolio
della
trasmissione
del
grande
calcio?
Risposta:
perché
la
piattaforma
GiocoCalcio
non
è
stata
in
grado
di
adempiere
gli
obblighi
contrattuali
assunti
con
cinque
società
di
massima
serie,
vale
a
dire
Empoli,
Modena,
Brescia,
Chievo,
Perugia
ed
Ancona.
Tutto
ciò
rientra
nelle
ordinarie
norme
che
regolano,
in
base
al
codice
civile,
l’inadempimento
contrattuale:
tu
non
paghi,
il
mio
contratto
dopo
un
certo
periodo
s’intenderà
risolto
di
diritto
dopodiché
sarò
libero
di
cercarmi
un
altro
interlocutore.
Ciò
che
rende
unica
tutta
la
vicenda
sta
nel
fatto
che
il
soggetto
inadempiente
è
rappresentato
dalle
società
stesse
(!)
che,
in
questi
giorni,
abbandonano
GiocoCalcio
per
legarsi
a
Sky.
Per
comprendere
meglio,
bisogna
risalire
al
settembre
del
2002,
quando
le
società
che
non
accettarono
le
proposte
di
offerta
effettuate
da
Stream
e
Tele
+
decisero
di
dar
vita
ad
un
consorzio
chiamato
Plus
Media
Trading
(Pmt),
con
l’obiettivo
di
creare
un
polo
televisivo
in
grado
di
rappresentare
un’alternativa
al
monopolio.
La
presidenza,
riprova
di
come
in
Italia
qualunque
cosa
si
faccia
la
si
deve
fare,
parafrasando
Cartesio,
all’insegna
del
lottizzo
ergo
sum,
venne
affidata
ad
Antonio
Matarrese,
vicepresidente
di
Lega
nonché
principale
avversario
di
Adriano
Galliani
per
la
corsa
alla
poltrona
di
Via
Rosellini.
Nella
scorsa
estate
è
nata
GiocoCalcio,
che
si
è
compreso
ben
presto
non
essere
in
grado
di
garantire
alcunché
alle
cosiddette
“ribelli”,
espressione
di
Pmt
e,
di
riflesso,
di
loro
stesse
(!).
D’altronde,
come
possa
un
cieco
aiutare
l’altro
cieco,
è
cosa
tutta
da
decifrare.
Adesso,
l’interrogativo
che
maggiormente
ci
assale
è
rappresentato
da
come
e
se
il
magnate
australiano
possa
iniziare
a
dare
l’assalto
a
calcio
in
chiaro,
viste
anche
le
prossime
riforme
sul
sistema
radio-televisivo
nazionale,
magari
anche
provando
ad
ottenere
quote
di
partecipazione
nell’ambito
della
stessa
RAI,
che
si
accinge
ad
essere,
almeno
in
parte,
privatizzata
ed
approfittando
di
una
serie
di
disposizioni
legislative
(come
un
sistema
integrato
delle
comunicazioni
non
più
ristretto
al
solo
ambito
di
radio,
giornali
e
televisioni,
ma
esteso
anche
a
forme
di
comunicazione
come
le
pubblicità
sugli
autobus…)
che
potrebbero
arrivare
a
consentire
un
monopolio
reale
su
tutto
un
sistema
televisivo.
D’altro
canto,
se
il
calcio
dovesse
continuare
a
ricevere
dai
diritti
televisivi
risorse
economiche
fondamentali
alla
propria
sopravvivenza,
nessuno
si
meraviglierebbe,
si
opporrebbe
o
ci
farebbe
caso
più
di
tanto.
Se,
al
contrario,
ci
si
riunisse
a
tavolino
per
decidere
di
dare
un
taglio
netto
alla
logica
(anche
questa
tanto
italiana…)
dei
contributi
assistenziali,
potrebbero
nascere
nuovi
orizzonti,
magari
improntati
al
risparmio
anziché
alla
ricerca
di
nuovi
capitali
hic
et
nunc.
Peccato
che
quando
si
parli
dell’introduzione
di
un
tetto
salariale,
magari
da
fissare
ex
lege,
tutti
continuino
a
fare
orecchie
da
mercante.
Chissà
perché…
Paolo
Bordino
11/3/2004