THE
DAY
AFTER
Ha
senso
parlare
di
calcio
dinanzi
uno
scenario
apocalittico,
dinanzi
duecento
morti
ed
alla
rimaterializzazione
dello
spettro
di
Al
Queda?
Dipende.
Certamente
è
fuori
luogo
parlare
di
schemi,
di
tattica,
parlare
cioè
del
cosiddetto
calcio
giocato.
Si
è
discusso
per
molti
giorni
sulla
decisione
dell’UEFA
di
non
rinviare
le
partite
di
coppa,
in
particolare
gli
incontri
che
vedevano
impegnate
le
squadre
spagnole
e
da
più
parti
si
è
alzato
un
grido
unanime:
vergogna!
L’inflazionatissimo
principio
del
“the
show
must
go
on”
ed
interessi
sempre
più
grandi
consolidano
un
calcio
che
non
si
inchina
neanche
ad
un
tragico
evento
di
rilievo
internazionale.
Ma
per
un
onnipotente
calcio
“giocato”
nel
quale
tutti
vogliono
“tornare”
quando
si
parla
di
qualsiasi
rovente
argomento
che
graviti
nell’orbita
del
pallone,
c’è
anche
un
calcio
non
“giocato”
che
non
è
una
sfera
di
cuoio
poggiata
sul
dischetto
di
centrocampo,
ma
è
la
folla
che
applaude
l’ingresso
dei
giocatori
in
campo,
è
un
minuto
di
raccoglimento
nel
quale
(in
Spagna)
si
fermano
persino
le
mosche,
sono
le
squadre
che
entrano
reggendo
un
unico
striscione,
è
un
messaggio
dato
da
coloro
che
sembrano
vivere
su
un
altro
pianeta
eppure
dicono
“siamo
con
voi”.
È
difficile
scorgere
quella
linea
di
confine
che
deve
separare
un’atmosfera
intrisa
di
dolore
da
una
dimostrazione
di
vero
e
proprio
lutto;
il
dolore
può
essere
di
molti,
moltissimi,
anche
di
tutti.
Il
lutto
no,
il
lutto
non
è
di
tutti.
Il
lutto,
dall’11
marzo,
è
degli
Spagnoli,
alcuni
dei
quali
hanno
deciso
di
recarsi
comunque
all’incontro
Villareal
–
Roma,
di
esporre
striscioni
di
condanna
alla
strage
e
di
esprimere
il
loro
dolore
nello
spettrale
silenzio
del
minuto
di
raccoglimento.
Lo
spettacolo
può
e
deve
andare
avanti
se
condotto
in
un
certo
modo;
un
grosso
dolore,
un
lutto
possono
anche
dare
uno
stimolo
in
più.
“Mia
madre
avrebbe
voluto
vederci
correre”
disse
Michael
Shumacher,
parlando
anche
a
titolo
del
fratello
Ralf,
dopo
l’ultimo,
vittorioso
G.P.
di
Imola.
Fu
il
suo
trionfo
più
triste;
la
madre
dei
due
piloti,
in
coma
da
qualche
giorno,
si
spense
poche
ore
prima
della
partenza.
L’iridato
vinse
e
volle
ugualmente
salire
sul
podio.
Niente
champagne,
niente
manifestazioni
di
gioia,
solo
lacrime
trattenute
durante
l’inno
tedesco
in
un’atmosfera
intrisa
di
profondo
rispetto.
Rispetto
per
un
dolore
di
tutti
e
per
un
lutto
appartenente
solo
ai
due
piloti.
Partecipare
ad
un
dolore,
ad
un
lutto
non
significa
sempre
e
solo
“fermarsi”;
sempre
nel
rispetto
di
colui
o
coloro
che
sono
colpiti
dalla
sventura,
si
può
“continuare”
senza
per
questo
rischiare
di
cadere
nella
retorica
e
nell’ipocrisia.
Antonio
Gagliardi
15/3/2004