UN
FALLIMENTO FIRMATO NALDI
Il
Napoli è morto.
Quattro parole che
neanche Nostradamus
avrebbe potuto
pronunciare. Lo
credevamo immortale. E
invece no. Il Napoli
non è più.
Gli
hanno lasciato
festeggiare il
compleanno con un
altro po' di
quell'ossigeno che
conteneva la bombola
dell'improbabile. Poi
il destino si è
compiuto perché la
cancrena ha divorato
il malato. Ed il
malato si è
spento, a 78 anni. C'è
chi, al mondo, lo ha
visto nascere,
crescere, vincere. Ma
anche morire. Forse
quel qualcuno pensava
di passare a miglior
vita vedendo un altro
scudetto. Potrà
consolarsi con altri
anni di luce del sole,
ma il suo amore
finisce nell'almanacco
del calcio e
nell'album dei
ricordi. I ricordi,
qualcuno ci vive ma
l'emozione è
irripetibile.
Comproviamola: non ne
avremo più.
Napoli
si dice sia - era - più
di una passione. Una
fede, un sentimento.
E' duro dire che,
anche quando il Napoli
era, tutto questo
neanche era vero. La
fede, il sentimento,
la passione, non sono
sul mercato. E
nonostante tutto, i
fedeli, i sentimentali
e i passionali hanno
lasciato che tutti, ma
proprio tutti,
giocassero con il
cuore. Tanto se la
destra andava sul
petto, la sinistra
finiva in una tasca
dietro i pantaloni. Ed
è per questo che
hanno lasciato che un
povero Toto prendesse
il Napoli.
Lui,
visto come il
Salvatore, ha ucciso
il Napoli. Le sue
bugie, le sue
incongruenze, le sue
azioni e le sue scelte
hanno strangolato il
povero Napoli. E i
medici, chiamati dallo
stesso Toto al
capezzale, non
hanno potuto fare
altro che costatarne
il decesso.
Lui,
Toto, ha giocato per
un anno e mezzo,
dopodiché ha
cominciato a bluffare.
Dimenticandosi di
avere a che fare con
il Napoli, non con un
suo cavallo o con una
sua maxicilindrata.
Che seppur possono
avere il loro fascino,
sbiadiscono al
confronto del Napoli.
Ha chiuso a chiave il
malato non lasciando
che nessuno, al di
fuori dei suoi
familiari, potesse
vederlo. Questi
occultavano la reale
salute del Napoli
comatoso: sprizzavano
ottimismo e sicurezza,
si permettevano
eccessi di snobismo e
superbia. Quando
tutti, chi con umiltà,
chi con forza,
sottolineavano la loro
inettitudine ed
incompetenza. I Naldi
andrebbero condannati
solo per questo. Per
il resto, aspettiamo
che fra qualche tempo si
faccia chiarezza sulle
responsabilità del
fallimento e allora
tutti capiranno molte cose.
Il
presidente del
fallimento, delle
menzogne, delle
illusioni. Un uomo che
nel calcio ha fallito. Lui
insieme alla famiglia,
quella schiera di
figli, nipoti, cognati
e amici che hanno
distrutto la SSC
Napoli. Chissà, forse
ora Toto sarà a
cavallo pensando al
prossimo Gran Premio
di Agnano, o forse su
una barca a Capri. Lo
era anche il giorno
prima di
importanti assemblee
andate deserte, o
mentre Napoli tremava
al pensiero che Napoli
potesse morire. Le
briscole le ha tenute
sempre ben nascoste in
tasca, sul tavolo ha
invece messo due di
picche o tre di coppe.
Forse, Toto sa giocare
a carte. Ma con il
Napoli ha pensato a
fare il suo gioco. A
costo di lasciare
l'ammalato al suo
destino. E senza
accettare al proprio
tavolo finanziatori,
imprenditori o altri.
Di Spinelli e
Zamparini sappiamo, ma
per Toto erano squali.
Lui, però, delfino
non lo è stato mai.
Ci
dica Naldi, ci
dicano i suoi figli,
ci dica suo cognato, ci
dicano i suoi amici
perché il Napoli è
morto. Loro,
soprattutto loro, sono
i responsabili di una
morte che non dovrà
passare impunita. E
che non lo passerà. L'unico
rimorso è che chi
urlava alcune
situazioni si è visto
minacciato e
offeso da chi, alla
fine, si è sporcato
le mani di un delitto
che passerà alla
storia come il più
grave della storia del
calcio. E
soprattutto
nell'indifferenza di
tifosi, sentimentali e
passionali che hanno
assistito senza
muovere un dito alla
distruzione del totem.
Il
Napoli, intanto,
moriva. Ora è morto.
E non sa se nel suo
domani troverà pace.
Quella che hanno perso
i tifosi: perché ora,
checché se ne dica,
possono solo piangere
il loro amore. Senza vergognarsene.
Mai.
Marco
Santopaolo
3/8/2004
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