A
Roma,
come
del
resto
in
Italia,
un
titolo
di
dottore
non
si
nega
a
nessuno:
nemmeno
a
Luca
Baraldi,
il
supermanager
che
da
mesi
viene
indicato
da
più
parti
come
unico
salvatore
possibile
per
il
disastrato
calcio
italiano.
L'ex
amministratore
delegato
della
Lazio,
tornato
al
Parma
da
poche
settimane,
compare
appunto
con
questa
qualifica
in
tutte
le
comunicazioni
ufficiali
della
società
biancoceleste
alla
Borsa.
Come,
ad
esempio,
la
trimestrale
al
31
marzo
2003,
il
bilancio
al
30
giugno
2003
e
il
prospetto
informativo
dell'aumento
di
capitale
dell'estate
scorsa.
E
anche
nei
contratti
firmati
con
i
calciatori
laziali
il
timbro
recante
il
suo
nome
contiene
la
sigla
di
dottore:
«Sono
laureato
in
economia
e
commercio»,
ha
spiegato
al
telefono.
Ma
non
ha
voluto
rivelare
né
l'Università,
né
l'anno
di
laurea:
«Questione
di
principio»,
ha
detto.
Alla
Lazio
riferiscono
di
non
avergli
mai
chiesto
il
titolo
di
studio,
ma
di
supporre
che
fosse
laureato,
visto
il
ruolo
che
occupava.
E
allora
bisogna
andare
molto
a
ritroso
nel
tempo.
Ne
ha
fatta
di
strada,
e
non
solo
nel
mondo
del
calcio,
quel
giovane
difensore
dai
piedi
ruvidi
di
cui
qualcuno
conserva
ancora
memoria
a
Modena.
Era
la
fine
degli
anni
Settanta,
periodo
in
cui
i
«canarini»
furono
retrocessi
dalla
serie
B
alla
C1.
Da
allora,
Baraldi
non
ha
più
sbagliato
una
mossa:
soprattutto
il
2003
è
stato
il
suo
anno.
E'
arrivato
alla
Lazio
dopo
una
folgorante
ascesa:
partì
dalla
Banca
Popolare
dell'Emilia
Romagna,
dove
era
arrivato
a
dirigere
l'agenzia
di
Collecchio
e
da
cui
uscì
nel
1994.
Passò
poi
all'istituto
di
credito
francese
Indosuez,
prima
dell'approdo
alla
Banca
del
Monte
di
Parma,
dove
divenne
in
breve
vice
direttore
generale:
andò
via
nel
maggio
2001,
e
un
paio
di
mesi
dopo
fu
cooptato
da
Calisto
Tanzi
al
Parma
Calcio
come
direttore
generale,
e,
successivamente,
catapultato
nella
Capitale
per
salvare
la
Lazio.
Alla
Popolare
dell'Emilia
Romagna
lo
ricordano,
documenti
ufficiali
alla
mano,
come
ragioniere:
stesso
discorso
alla
Banca
del
Monte
di
Parma.
Si
sarà
dunque
laureato
dopo
il
maggio
2001
tra
il
salvataggio
del
Parma
e
quello
della
Lazio.
Proprio
i
dieci
mesi
trascorsi
a
Formello,
dove
è
approdato
il
3
gennaio
2003
per
andarsene
il
3
novembre,
sono
stati
un
vero
capolavoro:
per
lui,
non
per
la
società
biancoceleste.
E'
tutto
scritto
nei
bilanci:
sotto
la
sua
guida,
la
Lazio
ha
chiuso
con
un
rosso
di
121,86
milioni.
Nell'esercizio
precedente,
l'ultimo
sotto
la
guida
di
Sergio
Cragnotti,
le
perdite
erano
state
inferiori,
perché
pari
a
103,05
milioni.
E'
vero
che
Baraldi
ha
preso
la
guida
a
metà
dell'esercizio
2002-2003
e
che
si
è
imbattuto
in
crediti
inesigibili
iscritti
a
bilancio
dalla
precedente
gestione,
o
addirittura
mai
sorti
come
un
famoso
credito
di
17
milioni
e
648mila
euro
verso
l'Erario,
contestato
dal
collegio
sindacale,
ma
è
altrettanto
vero
che
ha
potuto
sfruttare
l'ineffabile
legge
27,
meglio
conosciuta
come
«spalma
perdite»,
che
ha
consentito
di
abbattere
il
valore
del
patrimonio
calciatori,
ripartendo
in
dieci
anni
la
perdita
emergente.
Un
risparmio
considerevole,
dal
momento
che
la
Lazio
ha
effettuato
una
svalutazione
di
circa
213
milioni,
e
ha
applicato
la
legge
seguendo
l'interpretazione
della
Lega
calcio
e
non
quella
dell'O.I.C.,
l'Organismo
italiano
di
contabilità,
che
certo
doveva
avere
una
valenza
maggiore:
ciò
ha
prodotto
un
risparmio
ulteriore
di
54milioni
e
400mila
euro.
E
il
progetto
con
il
quale
la
società
biancoceleste
sarebbe
uscita
fuori
dal
tunnel,
pomposamente
denominato
come
«piano
Baraldi»?
Una
comica:
l'ex
amministratore
delegato
biancoceleste
asserisce
di
aver
dimezzato
il
monte
stipendi.
Lo
ha
ribadito
anche
nelle
ultime
settimane.
Persino
uno
svogliato
studente
di
ragionieria
reputerebbe
sbagliata
questa
affermazione:
il
piano
prevede
che
il
55%
dello
stipendio
sia
pagato
subito,
e
il
restante
45%
in
36
rate
mensili
di
pari
importo
con
decorrenza
primo
luglio
2005
o
dalla
data
di
scadenza
del
contratto
se
antecedente.
Altro
che
dimezzamento.
Il
costo
resta
assolutamente
invariato:
ciò
che
cambia
è
solo
la
natura
del
debito,
una
parte
del
quale
diventa
di
lungo
periodo.
Il
«piano
Baraldi»
consta
anche
di
altri
elementi:
la
conversione
in
azioni
dell'equivalente
di
cinque
mesi
di
stipendio
dei
calciatori
e
la
richiesta
di
rateizzazione
in
dieci
anni
dei
debiti
verso
l'Erario
per
l'Irpef
sui
redditi
dei
calciatori.
Per
quanto
riguarda
la
conversione,
per
ora
è
saltata
perché
non
è
stata
approvata
dall'assemblea
dei
soci
entro
la
prevista
scadenza
del
20
dicembre.
Quanto
alla
rateizzazione,
la
legge
impone
come
obbligatorie
le
garanzie
bancarie
che
la
Lazio
non
è
riuscita
a
ottenere.
Non
a
caso,
l'Agenzia
delle
Entrate
non
ha
ancora
risposto
alla
richiesta,
fatta
il
18
luglio.
Per
il
suo
operato,
Baraldi
ha
ricevuto
poco
meno
di
sei
milioni
di
euro
lordi.
Un
milione
e
477mila
in
qualità
di
amministatrore
delegato,
4
milioni
e
512mila
come
direttore
generale.
Di
questa
somma
fa
parte
anche
un
bonus
di
2
milioni
e
96mila
euro,
legato
al
raggiungimento
dell'obiettivo
di
diminuire
il
monte
stipendi
laziale
del
25%.
E
chi
è
stato
a
giudicare
centrato
il
risultato?
Naturalmente,
i
vertici
dirigenziali,
tra
cui
spicca
l'amministratore
delegato:
ossia
proprio
Baraldi.
E'
il
motivo
per
cui
la
Lazio
vorrebbe
recuperare
quel
bonus.
Non
è
tutto.
Baraldi
è
evidentemente
ubiquo:
poche
settimane
dopo
essere
giunto
nella
Capitale,
a
fine
gennaio
2003
è
stato
nominato
consigliere
di
amministrazione
di
Parmatour
e
il
14
marzo
consigliere
di
Telemec,
società
editrice
di
alcune
televisioni
locali
del
parmigiano
e
del
piacentino:
entrambe
le
aziende
facevano
capo
alla
famiglia
Tanzi.
In
ogni
caso,
Baraldi
ha
un
fiuto
sopraffino:
poco
prima
dello
scoppio
della
bufera
Parmalat,
precisamente
a
luglio,
è
uscito
dal
cda
di
Parmatour.
I
motivi?
Perché
ha
«contestato
dei
verbali»
e
perché
aveva
«troppi
impegni
a
Roma».
Ma
li
aveva
anche
quando
accettò
la
nomina.
E
a
metà
gennaio
2004,
in
concomitanza
con
la
sua
nomina
ad
amministratore
delegato
del
Parma,
si
è
dimesso
anche
dal
suo
incarico
alla
Telemec.
Ora
è
in
corsa
per
sostituire
l'ex
presidente
del
Parma,
Stefano
Tanzi,
come
vicepresidente
della
Lega
calcio.
La
scalata
continua.