CALCIO E' GUERRA!

 

     

di Patricia de Oliveira        

  

Faccio fatica a ricordarmi di chi sono queste parole.... Ma sono sicura della loro veridicità. Purtroppo non sono più parole di romanzo o sceneggiate brasiliane, hanno sorpassato qualsiasi tipo di fantasia, arrivando alla crudele realtà dalla violenza.

Penso che siano parole di Rinus Michels, un’allenatore olandese, conosciuto per fino come “il Generale”. Più di qualche altro sport, come il pugilato, il tennis, l'hockey o la pallacanestro, il calcio è diventato un teatro di guerra. E, ultimamente, una guerra che uccide tanto in tutto il mondo.

Non riprenderò qui i discorsi sulla bellezza del calcio e nemmeno che questo sia un sport da essere vissuto con gioia, invece violenza. Non riprenderò nemmeno il discorso romantico sull’importanza dei tifosi. Faccio un paragone su questo teatro di guerra e la violenza che sta crescendo tra di noi e, purtroppo, dentro di ognuno di noi.

Il Brasile è un paese violento. Uccide per la fame, per le droghe, per le arme. Uccide per i soldi, per il calcio e a volte, uccide solo per il piacere di uccidere. La violenza a volte nasce così, da un piacere morboso, malato.

Ho scritto in un articolo passato che una persona, in mezzo alla folla, può perdere la sua identità per guadagnare un’identità collettiva, sommandosi all’identità del suo gruppo. Molto più forte e più grande nei confronti della sua timidezza, della sua debolezza individuale. Quest’identità lo porta a fare delle cose che non avrebbe mai pensato possibili. Crea forza, cresce e va avanti mischiata alla follia, all’euforia di questo potere giovane ed acerbo che si spezza facilmente davanti a qualsiasi difficoltà. Un' identità che scappa via, frammentandosi e tornando al suo stato iniziale, ogni volta che non trova più i suoi partner... Così come l’onda del mare, può formarsi, venire, divertire e distruggere e poi, frantumarsi un’altra volta in mille identità diverse, più piccola, meno forte.   

Nel calcio i territori sono difesi, oppure sono invasi; i giocatori sono spinti al combattimento per i tifosi che gridano all’unisono. Le bandiere sono agitate e se canta il nome della squadra, tutto come una poesia. L’allenatore è entusiasticamente applaudito come stratega brillante. E, finalmente, arriva il momento della vendetta sopra i nostri vecchi nemici...

Forse, per quelli che sono nati in tempi di pace, il calcio è l’esperienza più vicina alla belligeranza.

Forse per questo le donne odiano il calcio! Perchè qui perdono l’amante, il marito, il figlio, il padre. Perdono per una guerra che non finisce mai...

Molta gente crede che senza il calcio, sarebbe possibile cessare con la violenza! Magari...

Credono che il calcio, come i film violenti, provoca l’aggressione, che non sarebbe mai rilevata senza esso. Magari...

Questo sarebbe un atteggiamento puritano, come credere che possiamo, sempre negli altri  chiaramente, bloccare il desiderio sessuale. 

L’aggressione non può essere semplicemente repressa. Altrimenti raddoppia le forze e poi non trovando il posto per scaricarsi, rompe tutto davanti...

Lo sport, il teatro o la musica forniscono la possibilità di scaricare quest’aggressività prima di diventare violenza...

Il calcio non può o nemmeno deve uccidere...

Purtroppo, per Sergio, l’onda della violenza collettiva è arrivata senza bussare ed è morto molto presto, molto piccolo.

 

 

Alla famiglia di Sergio, il mio più grosso abbraccio...

 

 

 

24/09/2003

 

Dott.ssa Patricia de Oliveira

Musicoterapeuta, 

Psicologa,

                                            Counseling dello Sport

 

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