APPENDETE LE SUE SCARPE AL MUSEO 

Sarebbe il massimo: rappresentazione di Roberto Baggio a Londra nel Museo delle Cere di Madame Tussaud. Statua perfettamente somigliante con ai piedi i suoi scarpini originali.

Perché ormai ha deciso. Alla fine di questo campionato, nel 2004, Baggio lascerà il calcio giocato.

Avrà 37 anni essendo nato il 18 febbraio 1967 ed avrà alle spalle vent’anni di carriera avendo esordito in serie C nel L. R. Vicenza nel 1984.

Nel 1986 l’esordio in “A” con la maglia della Fiorentina, ma qui un infortunio (il secondo) gli fece saltare quasi l’intero campionato; rientrò il 10 maggio 1987, gara Napoli-Fiorentina, partita “magica” per lui che segnò su punizione il suo primo gol nella massima serie e per i tifosi partenopei che videro materializzarsi il primo scudetto della storia del Napoli.

Baggio è stato sempre stimato dai tifosi napoletani; tutto cominciò con una superba serpentina che portò in vantaggio la Fiorentina al San Paolo nel torneo 1989/90, slalom che gelò 80mila persone; nello stadio non si sentì volare una mosca eppure era palpabile l’ammirazione per ciò che si era appena visto. Il suo successivo rigore pareva aver messo in cassaforte i due punti ma il Napoli, quel Napoli, fu capace di ribaltare il risultato e portare a casa l’intera posta.

Roby era l’idolo di una città passionale come Firenze ma la squadra, pur con qualche altro importante elemento, non era competitiva e cominciò a stargli stretta. “Predica nel deserto” si disse in qualche salotto sportivo e subito Radio Mercato lo dava già ceduto ora a questa, ora a quest’altra. Juve, Inter o Milan? Le probabili destinazioni avevano la maglia rigorosamente a strisce.

A Firenze l’aria divenne elettrica con la famiglia Pontello nell’occhio del ciclone e con Baggio che più ripeteva che sarebbe rimasto in viola più si capiva che avrebbe fatto le valigie.

Cosa che difatti fece nel maggio del ’90: ufficiale, Baggio alla Juventus.

Firenze fu in preda ad una rivolta popolare, mai si era vista una simile ribellione per la partenza di un giocatore.

Vennero le Notti magiche di Italia ’90; Roby trasformò il suo rigore, ma fu l’Argentina a guadagnarsi la finale all’Olimpico, stadio che il 16 novembre 1988 l’aveva visto esordire in una amichevole contro l’Olanda.

Per lui 55 presenze con la maglia della Nazionale e la partecipazione a tre Mondiali. Emblematica l’esperienza di Usa ’94; il celebre “è impazzito” rivolto a Sacchi, i suoi cinque determinanti goal segnati in condizioni fisiche a dir poco precarie e quel maledetto rigore calciato alto nella finale di Pasadena.

Quella sconfitta segnò il suo rapporto con Sacchi e s’interruppe l’idillio con la Juve con la quale nel ’93 aveva vinto il Pallone d’Oro.

Si accasò al Milan, ma le cose non andarono meglio.

In un calcio sempre più veloce e “fisico” uno come lui trovava sempre meno spazio; il “codino”, caratteristica ormai tipica del suo look, molte volte finì in panchina, per essere utilizzato in caso di emergenza. 

Platini lo definì un “9 e ½”, Agnelli un “coniglio bagnato” e faceva quasi tenerezza vedere uno dei maggiori talenti mondiali immalinconirsi in panca o in tribuna; iniziò un momento difficile. Momento che si rifletté anche nella carriera in Nazionale, dato che nel ’96 non fu convocato per gli Europei in Inghilterra.

Lasciato anche il Milan approdò al Bologna. La maglia è sempre a strisce la squadra però non è tra le grandi del campionato; l’aria di provincia e le pressioni indubbiamente minori di una piazza che lo venerava fecero sì che Roberto tornasse quello dei tempi migliori, pazienza poi se ogni tanto ci scappava qualche testa a testa con il tecnico Ulivieri.

Così, dopo 22 reti in trenta partite, il campione fu pronto per il Mondiale francese del ’98. Il C.t. Cesare Maldini lo schierò titolare nella gara d’esordio contro il Cile e, quando la partita sembrò prendere una brutta piega, Baggio si procurò e trasformò il rigore che permise all’Italia di pareggiare.

L’italia superò il girone ma il fantasista, fino ad allora sempre titolare, fu estromesso contro la Norvegia; grazie a Vieri l’Italia vinse ed incontrò i padroni di casa della Francia. Anche qui Baggio in panchina per uno spento Del Piero (potenze degli sponsor, si disse) con la squadra che balbettava.

Roby schierato nei supplementari sfiorò il golden gol e trasformò poi il suo tiro dal dischetto. Cosa che non riuscì a Di Biagio, Italia a casa ed immancabili polemiche. 

Questa ennesima delusione in chiave azzurra fu il capolinea della sua carriera in Nazionale.

Trasferimento alla corte di Moratti e di nuovo quel Lippi con il quale aveva avuto problemi in passato. Nell’autobiografia – Una porta nel cielo sono riportati alcuni retroscena sul suo rapporto col tecnico juventino il quale, venutone a conoscenza, dirà: “non ho alcuna stima dell’uomo Baggio”.

Chiusa anche l’esperienza all’Inter (Baggio andrà via dopo aver permesso con una doppietta la qualificazione alla Champions League), il campione rimasticò amaro per la non convocazione ad Euro2000.

Poi venne Brescia, due anni, 25 presenze e 10 reti, un rapporto idilliaco con Carletto Mazzone, ma anche qui cadde la mannaia dell’infortunio.

Sosta forzata e addio Mondiali? Si, ma solo per la sofferta non convocazione di Trapattoni che lo lasciò a casa nonostante il parere opposto della quasi totalità degli italiani.

Poi il rifiuto di andare all’estero e contratto prolungato con il Brescia.

La sua vita privata non è stata movimentata come la carriera: la moglie Andreina ed i figli Valentina e Mattia, ormai adolescenti, lo avranno tutto per loro.

La salvezza del Brescia ed il gol n.200 gli ultimi obiettivi, poi chissà.

Mancherà sicuramente al calcio, ma questo calcio moderno (“mi ha stufato”) a lui mancherà molto meno.

 

Antonio Gagliardi                                                          4/2/2004

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