• ESULTO DUNQUE SONO •

3/1/2007

(RENATA SCIELZO) - Il calcio: un linguaggio con i suoi poeti e i suoi prosatori, ebbe a dire Pasolini.
Poeti e prosatori con uno stile che li contraddistingue e talvolta li rende inimitabili.
Quale il momento in cui i “poeti” dispiegano al meglio le loro potenzialità e i loro artifici stilistici? Una domanda retorica. Una sola risposta: il momento più poetico del calcio è quello individualistico. Dribbling, goal e passaggi ispirati.
Sebbene i goal spesso siano il risultato di una geometria collettiva, sono indubbiamente i momenti di maggiore spannung, quelli in cui il poeta artefice, dopo fraseggi e giri di palla, cancella ogni tensione e ci conduce all’acme del piacere estetico. La rete si gonfia, la poesia della quotidianità si fa epica, impresa collettiva, nella quale è il goleador, a mo’ di moderno Achille, ad ergersi a grande condottiero.
Ogni “momento poetico” che si rispetti viene debitamente festeggiato dinanzi agli occhi degli astanti, in un rituale prima individuale e poi collettivo. In maniera programmatica, dopo una lunga “meditazione”, o istintiva.
Ogni “moderno poeta del pallone” detta le leggi del festeggiamento, proponendo il suo inconfondibile marchio di fabbrica, la sua cifra stilistica, in una sorta di “Esulto dunque sono”.
Germania 2006. Italia–Australia. L’Italia in dieci uomini gode di un calcio di rigore che potrebbe regalarle i quarti di finale. Il numero 10 Francesco Totti si avvia verso il dischetto. Posiziona la sfera. Le telecamere indugiano sui suoi occhi. L’Italia del pallone freme e teme. Totti dichiarerà: pensavo a come esultare. La storia è nota a tutti, una lunga corsa con il ciuccio in bocca e il boato dello stadio. Un gesto legato alla sfera privata, dettato dalla recente paternità.
Altri rituali legati alla dimensione collettiva sono invece lo sfogo delle tensioni accumulate, l’immagine della sensazione di leggerezza e libertà dopo il goal, il ringraziamento per i propri tifosi, un messaggio per i propri cari, la richiesta di consenso.
Il nostro Calaiò, novello Robin Hood, scaglia frecce verso la curva, e, Cupido in maglia azzurra, ci ha colpiti e fatti innamorare. Un gesto semplice, di cui non smetteremmo mai di riempirci gli occhi. Un’esultanza condivisa, volta a creare un legame indissolubile con il proprio pubblco.
Uno sfogo le capriole di Martins o un gesto di libertà fanciullesca la corsa ad ali spiegate a mimare il volo di un aeroplano che ha fruttato a Vincenzo Montella il soprannome di “aeroplanino”.
“Musica per le orecchie” la sviolinata del Gila nazionale nel match contro gli USA e inconfondibile la mano portata all’orecchio di Luca Toni. Gesti che i propri tifosi anelano, gli altri temono, scongiurano.
L’esultanza è momento clou dello spettacolo. Il realizzatore segna, esulta e dunque è. Persino i videogiochi della FIFA e le celeberrime figurine Panini hanno voluto immortalare i campioni intenti a condividere il proprio entusiasmo. Qualcuno li definisce narcisi autocelebrativi, qualcun altro giustamente depreca le esultanze sopra le righe (vedi alla voce sgozzamenti di Vucinic o saluti romani di Di Canio), noi speriamo solo di essere trafitti ogni sabato pomeriggio da una pioggia di dardi.
 

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