• PIANETA CALCIO - L’IMPORTANZA DI ESSERE “I CARRARO” •

8/6/2005
(dal mensile "PianetAzzurro" di Giugno, Michele Caiafa) - Presidente del Mediocredito Centrale, la merchant bank della Capitalia, di cui a sua volta è vicepresidente; presidente (per la seconda volta) della Federcalcio; membro dell’esecutivo del Comitato olimpico internazionale; presidente della Smeralda Holding, società che gestisce l’ex patrimonio immobiliare dell’Aga Khan…
Franco Carraro non è il “Poltronissimo” che qualcuno dipinge, né l’inaffondabile surfista di quell’intreccio fra politica e affari che ha attraversato la Prima Repubblica per approdare sostanzialmente intatto alla Seconda, o meglio non è soltanto questo. E’ molto di più, ed è anche molto altro.
Il potere di Carraro è insieme solido e persino fisicamente tangibile (il mestiere di banchiere e l’hobby di dirigente sportivo, come ama dire non senza civetteria). Ma è anche aleatorio e immateriale, perché sorto e consolidato in quell’universo parallelo popolare di politica e mondanità che fa di Roma l’ultima vera corte al mondo.
E qui s’incontra una prima peculiarità: i Carraro sono due. Perché senza la moglie Sandra, nata ad Alecce, figlia di un importante imprenditore farmaceutico, e le sue straordinarie doti nelle pubbliche relazioni, Carraro non sarebbe probabilmente mai diventato amico né di Giulio Andreotti e Bettino Craxi (che lo fecero ministro e poi sindaco di Roma), né di Cesare Romiti, che nominò Carraro presidente della società di costruzioni Impresilo, né di Cesare Geronzi, che lo portò ai vertici del Mediocredito.
Nato nel 1939 a Padova, Carraro sale per la prima volta agli onori delle cronache come campione di sci d’acqua. Comincia poi una brillante carriera di dirigente sportivo, che lo porterà a 27 anni a presiedere il Milan, quindi a diventare commissario della Federcalcio, vicepresidente e infine (nel 1976) presidente. Quando il Vicenza sborsa 5 miliardi di lire per sottrarre Paolo Rossi alla Juve, Carraro lascia la Figc (“il calcio sta diventando un business, è una vergogna e me ne vado”), per diventare subito presidente del Coni. Candidato da Craxi e Andreotti a sindaco di Roma nel 1989, dopo che uno scandalo aveva travolto la precedente giunta pentapartita di rito andreottian-sbardelliano, Carraro rimane in Campidoglio fino al 1992, annus horribilis della politica italiana.
Prende allora il largo dalla politica, almeno da quella pubblica, e comincia la terza fase della sua multiforme carriera: di nuovo dirigente sportivo ma anche, o forse soprattutto, banchiere. Dopo un passaggio all’Impregilo (il gruppo edilizio nato dalla fusione tra Cogefar Impresit del gruppo Fiat, Girola e Lodigiani) come presidente, Carraro attraverso Geronzi, scopre il mestiere di banchiere e quando, nel 2000, il Banco di Sicilia, già nell’orbita della Banca di Roma di Geronzi, acquisisce il controllo del Mediocredito, Carraro ne diventa il presidente. Ed è per questa via che l’ex presidente della Federcalcio torna di fatto, a occuparsi di sport.
Perché è il Mediocredito a prestare i miliardi al Napoli dopo il crac di Corrado Ferlaino; e perché la Capitalia non è soltanto sponsor della Lazio, ma salva la Roma di Franco Sensi convertendo 35 milioni di debiti in azioni e acquisendo buona parte del patrimonio del costruttore. Sarà naturalmente il Mediocredito a gestirne poi la dismissione quando avverrà.
In questi ultimi anni Carraro è stato anche nel cda dell’Ipse 2000, il consorzio per l’Umts poi liquidato prima ancora dell’avvio. Ma è il ritorno al vertice della Federcalcio che ne consacra, in qualche modo, l’appartenenza al pantheon degli uomini che contano davvero.
D’altra parte nessun italiano ha come lui rapporti personali con l’intero mondo dello sport internazionale. Amico di Juan Antonio Samaranch, l’ex presidente del Cio, e di Joao Havelange, l’ex presidente della Fifa, ambasciatore infaticabile dello sport italiano quanto attento a tenersi lontano dagli intrighi e dai giochi di palazzo, Carraro per dire, è l’unico in Corea a non strillare contro l’arbitro Moreno. Per rilanciare l’immagine della Federcalcio, nel gennaio 2003 Carraro ingaggia come consulente Maurizio Costanzo (sua figlia Albertina lavora alla Fascino, la società di Costanzo che produceva il “Maurizio Costanzo Show”), ma di lì a qualche mese la Figc è di nuovo nel ciclone, scoppia la rivolta e a gran voce chiedono le dimissioni di Carraro molte squadre di A e soprattutto di B, l’opposizione e Alleanza Nazionale. Carraro, a detta di molti miracolosamente, sopravvive. “Non dico che non abbia i suoi difetti” avrebbe detto di lui Silvio Berlusconi “dico però che se lo mandiamo via, rischiamo che alla fine vada solo peggio”. E c’è, in questa battuta, una misura perfetta dell’uomo, del manager, del mediatore.
Nel marzo del 2004 la procura di Roma indaga come “atto dovuto” anche il presidente della Federcalcio nell’ambito dell’inchiesta sui bilanci gonfiati di alcune squadre, tra cui la Lazio e la Roma. “In molti anni di attività professionale di dirigente sportivo, di ministro e di sindaco di Roma” dichiara Carraro “sono stato indagato molto volte. Finora è sempre stata accertata in maniera inequivocabile la mia assoluta correttezza, e per tale motivo sono sempre stato prosciolto in istruttoria o assolto”. Vero, e anche qui c’è una qualità non secondaria del personaggio.
E’ anche vero, tuttavia, che durante il suo secondo mandato alla guida della Federcalcio è successo di tutto: doping, passaporti falsi, arbitri più o meno incapaci, collassi economici, bilanci truccati, giungla nei diritti tv, organi designati al controllo che non controllano, crisi della schedina, dissesto del Coni, flop ai Mondiali… In mezzo, sopra, a fianco c’è sempre stato Carraro: più nella parte di quello che cerca di metterci una pezza che non in quella del responsabile. E persino quando è stato oggetto di attacchi durissimi ha trovato il modo di allontanare da sé l’attenzione, di rientrare rapidamente sotto il pelo dell’acqua, là dove accadono le cose vere, al riparo da sguardi incerti.
Il potere di Carraro si stratifica e si ramifica e la ricchezza (830 mila euro il solo stipendio dal Mediocredito) è si importante, ma in fondo accessoria. Lui, del resto, è nato ricco e ci tiene a farlo sapere in giro: così che fare i soldi, e farne molti, è un’attività mondana o una prova di abilità piuttosto che un bisogno.
L’affare con il finanziere libanese-americano Tom Barrack in Costa Smeralda dev’essere nato così: Sandra Carraro scarrozza Barrack per cene al Bolognese e salotti in casa Angiolillo; il Mediocredito finanzia l’acquisizione delle proprietà di Starwood Hotels & Resort Worldwide (195 milioni di euro su un totale di 300); Carraro segue l’intera operazione e diventa il presidente della società che gestisce il patrimonio immobiliare per conto del nuovo proprietario (che, da un certo punto di vista, sarebbe lo stesso Mediocredito).
Le cronache rosa fanno anche riferimento di un flirt tra Albertina, la figlia minore di Carraro, e il figlio di Barrack. Vero o falso, l’episodio ci introduce in un’altra sfera specialissima della famiglia Carraro relativa all’acquisizione e alla gestione del potere: le amicizie, i legami personali, le parentele.
Il figlio Luigi, per esempio, è in affari con la figlia di Geronzi, Benedetta (che a sua volta è consulente per il marketing per la Figc): insieme hanno fondato la Filmworld, una casa di produzione per spot pubblicitari che fatturava 15 milioni all’anno prima di trasformarsi improvvisamente in un’immobiliare, la Pitagora (in società con l’immobiliarista campano Giuseppe Statuto) che dovrebbe gestire anche il patrimonio immobiliare di Sensi acquisito da Capitalia nel salvataggio della Roma. I maligni, del resto, quando avevano visto il marchio Geronzi-Carraro sotto le campagne Fiat, Uliveto o Tim, avevano subito pensato al rapporto finanziario tra l’Uliveto e la Nazionale, al ruolo del Mediocredito nella ristrutturazione del debito Fiat, o all’esposizione di Telecom verso Capitalia. D’altra parte l’altra figlia di Geronzi, Chiara, giornalista al TG5, era in società con il figlio di Luciano Moggi, Alessandro, nella Gea World, la famosa società di mediatori di calciatori e di allenatori.
Ma neppure questi episodi sembrano scalfire l’impertubabilità di Carraro, che col tempo pare assumere quasi un tratto andreottiano. Veste sempre di blu scuro e possiede solo cravatte blu scuro. Mangia pochissimo, non beve, si alza prima dell’alba e non va mai a letto dopo le 23:00, fa tutti i giorni la cyclette . Sembra freddo, ma non lo è. Memorabili le sue sfuriate: ai collaboratori, alle segretarie, o a quell’ignara collaboratrice di Antonio Matarrese che, ai Mondiali 2002, dichiarò che il presidente le aveva urlato “proprio quella parolaccia che si dice alle puttane”. Ha detto di lui Gianni Rivera: “E’ un siciliano allevato a Londra”. Lui ribatte: “Sono un padovano educato a Milano”.
La sua maggior ansia è probabilmente il tempo. Prima di prenotare un ristorante, gli si deve garantire un servizio che non duri più di 18 minuti. A messa va sempre il sabato pomeriggio alle 18:00, vicino a casa: l’ha cronometrata, è la cerimonia più breve. Guai a fargli perdere tempo. Ama dire che alle sessioni del Cio “sono l’ultimo ad arrivare ed il primo ad andar via”. E gli si attribuisce anche la frase: “Preferisco andare subito a letto con una donna piuttosto che perdere tempo al night”. Ma nessuno in tanti anni, nemmeno il famoso portale di gossip Dagospia, diretto da Roberto D’Agostino, è riuscito ad attribuirgli flirt o scappatelle.
Abita in affitto in un palazzetto settecentesco circondato da un bosco di piante secolari ai piedi del Gianicolo: è il Bosco Parrasio, sede dal 1725 dell’Accademia dell’Arcadia voluta nel Seicento da Cristina di Svezia, e presa in affitto nel 1978 (la precedente inquilina era Susanna Agnelli). Il canone: 3500 euro al mese per trent’anni. Più la manutenzione, che naturalmente non è poca cosa. C’è chi dice che molti lavori sarebbero necessari e che l’inquilino tarda a mettere la mano al portafoglio. Ma è anche vero che ha fatto abbattere un pino immenso, oramai in pessima salute, sfidando le ire della sovrastante ambasciata di Spagna, che quel pino aveva (e ha) in tutti gli oli dipinti nei secoli dalla sua grande terrazza. Con chiunque altro sarebbe scoppiato un vero caso diplomatico. Con i due Carraro, no.

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