• GIUSEPPE BRUSCOLOTTI: “IL NAPOLI PUÒ TORNARE GRANDE, SANTACROCE È IL FUTURO” •

10/12/2008

(ESCLUSIVA PianetAzzurro di MARIO IPRI) - Nel calcio di oggi le bandiere sembrano quasi una leggenda metropolitana. Se si escludono i mostri sacri Maldini, Del Piero e Totti, che hanno legato la loro vita professionale (e non solo) ai rispettivi club, tutti sembrano “corruttibili”, senza rinnovo contrattuale che tenga.
Eppure nel Napoli ha militato un vero e proprio “highlander”, un giocatore capace di legarsi per 501 partite ai colori azzurri, diventandone il capitano negli anni d’oro, prima di cedere la sua fascia al più grande di tutti. Si tratta ovviamente del mitico Beppe “pal ‘e fierr” Bruscolotti. E proprio lui abbiamo intervistato, cercando di capire cosa ne pensa del progetto di De Laurentiis, dei nuovi idoli del San Paolo.
Beppe, partiamo da lei. Com’è adesso la domenica di Bruscolotti?
“Ovviamente ruota attorno alla partita del Napoli, che seguo insieme ai miei clienti dal ristorante che gestisco. Ti lascio immaginare poi cosa accade quando qualche ex compagno di squadra viene a trovarmi proprio nel giorno della partita degli azzurri: il ristorante diventa la terza curva del San Paolo. Dopotutto ero il primo tifoso in campo quando giocavo, non potrei immaginare un modo diverso di passare la domenica”.
Questa squadra ha le potenzialità per ripercorrere i passi del Grande Napoli?
“Diciamo che hai usato il termine esatto, potenzialità. Di certo si può andare lontano e costruire qualcosa di importante, ma adesso è davvero troppo presto per indicare obiettivi e scadenze per i massimi traguardi. Bisogna avere pazienza, e pensare sempre alla concorrenza, che di certo non sta a guardare”.
La politica dei ‘piccoli passi’ attuata dalla società va confermata anche in caso di raggiungimento del quarto posto, al termine della stagione?
“Non mi piace guardare già troppo lontano, lo trovo deleterio. Posso però dire che, se e quando il Napoli approderà nella massima competizione continentale, sicuramente non vorrà essere una meteora. Quindi…”.
Prova fastidio quando Lavezzi viene paragonato a Maradona, lei che ci ha giocato per tanti anni?
“Fastidio no, ma le cose stanno nel seguente modo. A 23 anni Diego era già il più grande di tutti e al limite aveva il problema di non farsi scalzare dagli altri campioni sulla scena mondiale. Lavezzi è un giocatore fortissimo, ma non mi sembra se ne possa parlare negli stessi termini. Per il momento, si spera”.
Il ‘caso Lavezzi’, il recente ‘malumore’ di Blasi per non aver giocato contro l’Inter. Non crede che la squadra necessiti di una bandiera come lei in grado di fare da collante?
“Il fatto che ogni tanto emerga qualche malumore non può che essere un fatto positivo, non c’è famiglia nella quale ogni tanto non si storce il naso. E questo gruppo è davvero una famiglia. Il pericolo c’è quando i problemi non emergono, ma si leggono sul volto dei giocatori o dei dipendenti della società. E io vedo solo sorrisi sinceri in questo gruppo”.
Crede che Santacroce possa davvero essere l’erede di Fabio Cannavaro, sia nel Napoli che in Nazionale?
“A Santacroce non manca davvero nulla per diventare un campione nel suo ruolo, e il fatto che militi nel Napoli deve essere motivo di vanto per società e tifosi. Insieme a Chiellini rappresenta la base da cui partire per tornare a far parlare nel mondo dei difensori italiani come i più forti”.
Nonostante la sua grandissima carriera, lei non ha mai giocato in Nazionale. Non trova invece che oggi sia troppo facile essere convocati?
“Non è diventato più facile, è che prima il calcio era molto diverso. Si veniva convocati per blocchi: i difensori di questa squadra, i centrocampisti di quell’altra. Oggi i commissari tecnici preferiscono sperimentare, magari lasciando a casa dei fuoriclasse e convocando giocatori che hanno ancora tutto da dimostrare. Forse in questo sento è più facile, sì”.

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