• CATANIA, MORTE E VIOLENZA ALLO STADIO •

2/2/2007

(RENATA SCIELZO) - 38 anni e una vita spezzata da una bomba carta lanciata in pieno viso in occasione di una partita di calcio.
Un agente di polizia negli scontri tra tifosi durante il derby Catania – Palermo perde la vita, un altro versa in condizioni gravissime e il numero dei feriti post guerriglia ammonta a circa 100 persone.
Notizie da brivido che non vorremmo leggere e che, a meno di una settimana dalla morte di Ermanno Licursi (n.d.r. il dirigente della Sammartinese ucciso nel tentativo di sedare una rissa post partita), ci devono far riflettere.
Riflettere sul calcio, ma non solo.
E’ la punta di un iceberg, è il segno tangibile della deriva della nostra società.
Negli stadi si sfogano istinti ferini e frustrazioni accumulate in settimana, negli stadi non si va per godere di quel meraviglioso spettacolo chiamato calcio, negli stadi ormai si va solo ed esclusivamente per esercitare violenza, una violenza che non è fuori di noi, ma ci arriva fin nel midollo. E’ intorno a noi. E’ dappertutto.
Lungi da noi voler giustificare i nutriti manipoli di idioti che ogni domenica si mettono in evidenza con comportamenti indisciplinati e teppistici, lungi da noi voler trovare una motivazione all’assurdo.
L’assurdo non ha e non può avere motivazioni. Se non una sola: una violenza latente, che si insinua in ogni aspetto della nostra quotidianità, che esplode e deflagra rovinando tutto, vomitandoci addosso lo schifo che siamo diventati. Siamo, non perché colpevoli nella fattispecie, in relazione al singolo episodio, ma perché ciechi, talvolta superficiali, di fronte a ciò che ogni giorno negli stadi, ma non solo, nelle strade, nelle scuole, nei condomini e perfino nelle case, si consuma dinanzi ai nostri impassibili occhi.
Colpevoli anche noi, tutti. Colpevoli per non esserci offesi e indignati abbastanza, colpevoli per non aver alzato troppo la voce. Colpevoli per aver fatto sempre troppo poco.
Oggi, stasera, Pancalli sospende i campionati. Un weekend senza calcio. Basterà? Già li vediamo i sondaggi in tv e sui media nazionali. Sospendere il campionato può servire? O “The show must go on?” e compagnia bella.
Interverranno esperti, uomini di sport, gente della strada e facinorosi pentiti, ma non è questo il punto.
Non sarà uno stupido sondaggio, una crocetta messa qui piuttosto che lì a darci la chiave di volta del problema o a farci stare meglio. Tutt'altro.
La situazione è di quelle quasi irreparabili. Non si tratta più di una partita di pallone, dobbiamo interrogarci sulle cause di tutto ciò, estirpare il seme della violenza alla radice, partire con programmi di educazione e di rieducazione in tutti i luoghi e i contesti deputati a farlo: scuola, famiglia, parrocchia etc. perché non è possibile che i nostri figli domani continuino a leggere di vite spezzate arbitrariamente e insensatamente, non è possibile che i figli dei nostri figli siano figli di una società ancora più orrenda e terribile di questa.
E non è possibile che si continui ad aspettare chissà quale deus ex machina che venuto dal cielo ci ridipinga un mondo bello e pulito. Siamo noi, che nel nostro quotidiano, dobbiamo lavorare perché ciò che ci sta intorno possa cambiare e soprattutto possa migliorare. Dobbiamo credere che ciò sia possibile, innanzitutto, ma dobbiamo anche volerlo. Volerlo, volerlo fortissimamente, prendendo posizione, schierandoci e quando necessario alzando la voce, non ottundendo le menti, non nascondendoci dietro al “tanto dobbiamo sopravviverci qui dentro”.
Il presidente del consiglio ha commentato: “Lo sport deve riflettere”.
TUTTI DOBBIAMO RIFLETTERE, interrogarci e ora più che mai AGIRE, SOLO AGIRE. E non sarà certo la pausa di campionato. E’ un palliativo. Il lavoro deve partire dalle fondamenta e a questo lavoro devono partecipare tutti; bisogna cooperare tutti perché il nostro paese la smetta una volta per tutte di assurgere agli onori della cronaca non tanto per il suo calcio malato, quanto per il suo lasciarsi sopravvivere sempre e comunque dinanzi al marcio e alla violenza.
E’ giunto il momento di dire basta, di dare il calcio di inizio a questa battaglia. Una battaglia che non sia solo simbolica. Una battaglia di fatti e di parole. Una battaglia esemplare per sconfiggere la violenza.

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