George Best, discese ardite e risalite

“Ho speso un sacco di soldi per l’alcol, le donne e le auto veloci. Tutti gli altri li ho sperperati”. 

Ci sarebbe da sorridere per questo motto se dietro di esso non si celasse il dramma umano di uno dei più geniali calciatori del secolo: George Best. “Bestie”, Geordie”, “Il quinto Beatle” sono i vari soprannomi affibbiatigli che la dicono lunga sulla di popolarità di cui godeva.

Siamo a cavallo tra gli anni 60 e 70, “The Best” è la stella incontrastata del calcio irlandese e del Manchester United; altro che David Beckham, emigrato con la benedizione dell’86% dei tifosi; la popolarità di George è tuttora inarrivabile, di sicuro tra i tifosi di quella generazione.

Nato nel 1946 in un quartiere proletario di Belfast, sin da ragazzino aveva un particolare feeling con il pallone, già allora aveva dei numeri ma la sua corporatura non proprio possente non convinse molti tra coloro che già lo avevano adocchiato.

I dirigenti del Manchester Utd credettero in lui quando lo ingaggiarono nel 1963, non sapendo però che il loro acquisto sarebbe in breve divenuto un vero e proprio oggetto di culto; ed infatti la “Bestmania” non tardò ad arrivare. Quel devil in mezzo al campo con il look rigorosamente conforme a quegli anni (capelli lunghi e basettoni) colpì tutti per il suo talento, i suoi dribbling, la sua imprevedibilità sul campo e fuori dal campo.

Egli ovviamente ci mise del suo, non facendo nulla per passare inosservato; era sempre attorniato da splendide ragazze, si presentava agli allenamenti in Rolls Royce, indossava abiti sgargianti divenendo popolarissimo anche tra le migliori boutique della città oltre che tra i pub.

E fu proprio nelle serate, e nottate, trascorse nei pub che conobbe il peggior amico della sua vita: l’alcol.

Tutto bene, malgrado sbronze e notti brave, fino all’anno della sua consacrazione. Con il Man vinse la Coppa dei Campioni, si laureò miglior calciatore britannico, titoli che gli valsero il prestigioso Pallone d’Oro.

Era il 1968, Best aveva solo 22 anni quando raggiunse l’apice, ma negli anni successivi ci fu una inarrestabile china verso il basso.

Una vita sregolata e l’alcol gli annebbiarono i riflessi in campo, divenne ingestibile negli allenamenti e persino manesco tra le mura domestiche, insomma era il fantasma di sé stesso.

Tutto questo fino al 1973, quando cioè i diavoli rossi decisero di sbarazzarsene mandandolo a giocare nelle serie inferiori. Poi, dopo una breve parentesi tra Scozia e Spagna, come altri campioni a fine carriera andò negli U.S.A., attratto più che altro dai dollari, dal sole e dalle bionde ragazze californiane.

Dalle assolate spiagge d’oltreoceano alla panchina in un parco di una grigia Londra; è lì che un giorno fu trovato in stato confusionale e le sue pessime condizioni di salute resero urgente un trapianto di fegato.

Questa è storia di un anno fa; l’operazione innescò una marea di polemiche,  per impreviste complicazioni furono necessarie trasfusioni per venti litri di sangue, ma l’esito felice dell’intervento sembrò avergli restituito salute fisica e psicologica.

Sembrò, visto che “The Best” ci è ricascato. Si è reso protagonista pochi giorni fa di una rissa in un pub; ma la cosa più sconvolgente è che la moglie, in preda all’angoscia più totale, abbia ripetuto la stessa drammatica raccomandazione di un medico alla vigilia del trapianto: “non servitegli da bere perché lo uccidete”. Ultima decisione, quella di mettere all’asta il Pallone d’Oro rimasto l’unico filo che lo legava ai bei tempi andati. 

Se Garrincha è il più celebre esempio di calciatore ucciso dall’alcol e dalla solitudine, se Gascoigne, pur ancora in attività, non riesce a venirne fuori, come si potrà aiutare questo Genio?

“Un grande giocatore, più loco di me”. Parole di un certo Diego Armando Maradona. 

 

                                                                                           Antonio Gagliardi                                                     16/07/2003

 

 

UN FINALE MIGLIORE

 

Ho avuto un senso profondo di vuoto e di tristezza  quando ho letto dell’ennesima defaillance di Best, mi riferisco alla vita, non al campo, naturalmente; troppi grandi campioni del passato hanno buttato via la loro carriera in anticipo e la loro vita, una cosa che è davvero malinconica. Pensiamo al campione del Napoli Maradona, datosi con un po’ di leggerezza agli stupefacenti, a Paul Gascoigne, troppo spesso alticcio e violento, alla fine che molti hanno fatto invece di proteggersi e di continuare a giocare hanno dovuto smettere troppe volte. E’ una storia antica nel nostro calcio, Lennart Skoglund, svedese dell’Inter, perse troppo presto la vita per una faccenda simile. Best, talento irlandese del Manchester United, ha dovuto subire in passato un trapianto di fegato, dopo cure e solitarie lotte con l’alcolismo è ricaduto nella rete del vizio. La domanda che ci rivolgiamo è se un campione di fama internazionale possa e debba ridursi così, se non meriti un finale migliore la propria avventura pallonata. Una volta sbagliato l’etichetta purtroppo resta, pochi ti aiutano e molti voltano le spalle, quando sei qualcuno hai tutti intorno a te. Best è stato arrestato per una rissa, mentre beveva, lui è solo uno dei tanti casi dei giocatori che si sono bruciati con le loro mani, che non hanno d’altronde fatto scuola. Meditate campioni.

 

di Luigi Petagna

                                                     15/7/2003

INDIETRO