di Patricia de Oliveira    

• CHECKUPALLONE - I COLORI BELLIGERANTI DEL CALCIO •

28/4/2005
(dal mensile n. 6) - Ci sono dei momenti nella vita personale o nella società in genere in cui tutto “lievita”. Tutto ciò che fa male, che disturba, dopo un periodo di lievitazione, affiora nella coscienza. È un movimento “catartico”. Buttiamo fuori cose che stavano nascoste nel buio della nostra coscienza. A volte lo scatto può essere giustificato (come una donna che viene violentata a parole dal suo marito per anni e che un giorno piange e grida come una pazza, per buttare fuori tutta la sua rabbia) e a volte lo scatto avviene in situazioni incomprensibili (come la violenza che il mondo del calcio sta guardando dal suo divano personale senza fare quasi niente).
Questa settimana poi, mi sono ricordata di Sergio, quel ragazzo ucciso per amore della sua squadra. Poi ho pensato a Roberto Carlos, Dida e Grafite (del São Paulo) e non riesco a capire perchè stanno facendo del calcio lo spettacolo più grottesco che abbia mai visto. Sembra un Tsunami. Un’onda di violenza che sta crescendo piano piano e che può abbracciare tutti i continenti in una maniera bizzarra e distruttiva, oppure essere bloccata con misure di sicurezza impietose. Ho scritto molto tempo fà un articolo in cui dicevo: “una persona in mezzo alla folla può perdere la sua identità per guadagnarne una collettiva, sommandosi all’identità del suo gruppo. Molto più forte e più grossa nei confronti della sua timidezza che della sua debolezza individuale. Quest’identità lo porta a fare delle cose che non avrebbe mai pensato di fare. Crea forza, cresce e va avanti mischiata alla follia, all’euforia di questo potere giovane ed acerbo che sa spazzare facilmente qualsiasi difficoltà. Un’ identità che scappa via, frammentandosi e tornando al suo stato iniziale, ogni volta che non trova più i suoi partner e i suoi compagni... Così come l’onda del mare può formarsi, arrivare e distruggere, e poi, finalmente, frantumarsi un’altra volta in mille identità diverse, più piccole, meno forti”. Più che mai queste parole sono vere.
Come contenere questo movimento? Se le parole non bastano più ed il calcio è incapace di sensibilizzare positivamente gli occhi di questi personaggi danteschi, cosa si può fare? Ho letto un articolo di un magistrato brasiliano, del 2003, in cui diceva: “solo la legge può contenere certe aggressioni e tanta violenza negli stadi”. E, a questo punto, credo che sia una verità assoluta.
Qui in Brasile è stato creato un Statuto in Difesa dei tifosi. Per proteggere tutte le persone e le famiglie che amano il calcio e che vogliono partecipare ogni domenica ad uno spettacolo bello e sano. Tra tante misure, queste sono le tre che mi hanno colpito di più: 1- La separazione dello stadio in due, con una fascia di sicurezza (spazio senza nessun tifoso) per dividere gli Ultras. Una segregazione di identità assolutamente necessaria. Questa divisione accade per fino nelle vicinanze dello stadio, nel parcheggio e nei mezzi pubblici.
2- Controllo rigoroso del flusso di entrata ed uscita delle persone nello stadio. Non si entra con bottiglie, oggetti taglienti o quant’altro possa essere pericoloso per le altre persone. Sono stati messi dei monitor in tutto lo stadio, per l’osservazione elettronica continua durante tutta la partita.
3- È stata creata una “mini-questura”, con ampia autonomia legislativa, caso mai sia importante punire criminalmente i responsabili per un’aggressione dentro o fuori lo stadio. La presenza della polizia è proporzionale all’afflusso di massa della gente, ovviamente variabile a seconda dell’importanza della partita. Quindi mi viene normale credere che se nessuno stabilisce una linea severa, sarà impossibile recuperare la normalità di questo calcio. Qui siamo preoccupati. Dicono che il prossimo mondiale in Germania sarà difficile.
Non per mancanza di qualità nel calcio, ma per mancanza di rispetto e ordine. Il razzismo cresce paurosamente lì in Europa. Nella Spagna un nero è bravo abbastanza se gioca nella sua squadra, altrimenti passa per una “scimmia”. Non riesco a capire e non posso credere che nel 2005 delle persone facciano ancora differenze tra i colori della pelle... Questa settimana un argentino, durante una partita qui in Brasile, ha offeso profondamente Grafite (calciatore del São Paulo). Desabato (l’argentino) aveva già provocato una situazione simile nella partita di andata in Argentina, e Grafite, eroicamente, non rispose, decidendo poi la partita in campo con un goals. Qui in Brasile, nella nostra casa, quest’argentino ha apostrofato con parole offensive non solo Grafite, “nero dalle gambe magiche”, ma tutta la nostra “bianco-nera-mulatta-gialla-rossa” nazione. Il questore a lavoro nel piccolo tribunale dello stadio ha atteso la fine della partita per portare Desabato in galera. Lui se ne è lamentato, senza chiedere scusa, dicendo che il Brasile è troppo rigido nella sua legge. Conclusione: per la pietà del magistrato, Desabato è rimasto solo 3 giorni in galera. Adesso torna al suo paese e risponderà ad un processo di razzismo contro Grafite e la nazione brasiliana. Un brutto incidente, ma sono sicura che qui in Brasile, nessun altro straniero avrà voglia di provocare confusione. In pratica ci siamo recati dalla legge e abbiamo risposto senza violenza alla violenza. So che atteggiamenti discriminatori come questi, oppure atteggiamenti violenti come quelli che ormai sono stati visti anche lì in Italia, partono da uno o due individui fuori con “la capa” che fanno danni, in tutti i sensi. Ma queste persone, devono essere responsabilizzate immediatamente, e secondo me, non sarebbe nemmeno male lasciarli fuori dallo stupendo spettacolo del calcio, bloccando la loro entrata negli stadi, per sempre.

Dott.ssa Patricia de Oliveira
Musicoterapeuta,
Psicologa, Counseling dello Sport

 

 

 

 

 

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