IL
BUCO ALL'OMBRA
DEL VESUVIO
San
Gennaro ha
probabilmente esaurito
i suoi miracoli per il
Napoli. Nel passato lo
ha salvato più volte,
sia agli inizi degli
anni Novanta, quando
erano emerse le prime
serie difficoltà
finanziarie, che nelle
ultime due estati,
durante le quali la
società partenopea è
stata iscritta in
extremis al
campionato. Ma le
cifre di bilancio sono
chiarissime: il
patrimonio netto
(ossia i mezzi propri)
è sempre vicino a
essere addirittura
negativo, dunque sulla
soglia dell'obbligo di
portare i libri
contabili in
tribunale. Questo
accade perché la
dirigenza azzurra non
sembra più in grado
di far fronte nemmeno
all'emergenza,
preferendo al
contrario impartire
disposizioni un po'
squinternate come
quella di non far
consegnare i bilanci
ai giornalisti: forse
ignora che essi sono
pubblici e che,
quindi, basta recarsi
alla Camera di
Commercio per averli
comunque. Al 30 giugno
2003 la situazione del
Napoli era impietosa:
le perdite
dell'esercizio, pari a
13 milioni e 750mila
euro, avevano eroso
tutto il patrimonio
netto, portandolo a un
valore negativo di
circa 967mila euro.
Occorreva un'immediata
ricapitalizzazione ai
sensi del codice
civile. L'assemblea
straordinaria del 14
luglio ha deliberato
l'aumento di capitale
a 15 milioni: 4
milioni e mezzo sono
stati sottoscritti
subito, gli altri
dovevano esserlo entro
il 31 dicembre. Non è
stato fatto: parte
della quota residua,
cioè 7 milioni e
138mila euro, è stata
garantita da una
fidejussione della
Banca Popolare di
Ancona. Per racimolare
qualche spicciolo, il
Napoli è dovuto
arrivare sin nelle
Marche. L'istituto non
ha voluto rivelare né
se abbia versato
l'importo, né cosa
abbia preteso in
cambio del rilascio
della fidejussione,
limitandosi a far
sapere che le garanzie
ricevute sono «ottime».
E allora non deve
trattarsi di beni
appartenenti al
Napoli, perché ormai
ne restano ben pochi.
Leggiamo sempre, a tal
proposito, il bilancio
al 30 giugno 2003: il
Centro sportivo di
Marianella è quello
di maggior valore,
registrato per 8
milioni e 560mila
euro. Peccato che su
di esso gravino due
ipoteche di primo
grado per 5 milioni e
800mila euro
complessivi, iscritte
a favore dell'Istituto
per il Credito
Sportivo. I restanti
impianti, macchinari e
attrezzature hanno un
valore totale di
203mila euro. C'è
anche qualche
immobilizzazione
finanziaria: sono
spiccioli che non
raggiungono i 500mila
euro, tra i quali
spicca la
partecipazione nel San
Marino Calcio (183.030
euro), che disputa il
girone B della serie
C2: proviene dalla
gestione Corbelli, ma
l'attuale presidente
Naldi se ne vuole
disfare. Così, nella
scorsa stagione, la
quota è scesa dal
33,33% al 4,72% per la
mancata sottoscrizione
dell'aumento di
capitale della squadra
della Repubblica del
Titano. E il
patrimonio calciatori?
Depauperato del 94,74%
in seguito alla
perizia giurata con la
quale la società ha
aderito all'ineffabile
legge 27 del 21
febbraio 2003, più
comunemente nota come
«spalma perdite»: in
soldoni, si tratta di
un crollo verticale da
49 milioni e 189mila
ad appena 2 milioni e
588mila euro. E' un
record assoluto:
nessuna delle società
che ha applicato la
legge era giunta a una
svalutazione
percentualmente tanto
cospicua. Particolare
curioso: nonostante
nel bilancio il Napoli
abbia omesso di
citarlo, a effettuare
la perizia è stato il
professor Paolo
Stampacchia, che,
pochi mesi dopo, è
diventato presidente
del Collegio Sindacale
della società
azzurra, l'organo
deputato al controllo
dell'amministrazione.
E
le disponibilità
bancarie? Eravamo
all'indigenza: 3.007
euro liquidi e un
assegno di 8.040 euro.
Di soldi in cassa,
neanche a parlarne: la
miseria di 918 euro.
Solo i crediti
raggiungevano un
ammontare accettabile:
12 milioni e 390mila
euro. Tuttavia,
essendo più che
controbilanciati da
debiti per 64 milioni
e 10mila euro, ciò
significava uno
squilibrio finanziario
di 51 milioni e
600mila euro. E' utile
un paragone con la
vicenda Parmalat: nel
rifare i conti, a
Collecchio sta
emergendo uno
squilibrio finanziario
quasi triplo rispetto
al fatturato. Al
Napoli, considerato
che gli incassi
complessivi sono
ammontati a 20 milioni
e 430mila euro, il
rapporto è molto
simile: 2,53 volte. In
altre parole, la
società partenopea
dovrebbe incassare
soldi per due anni e
mezzo senza spendere
un solo centesimo al
fine di riequilibrare
la situazione tra
debiti e crediti.
Oppure salire in serie
A per assicurarsi un
incremento del
fatturato. In entrambi
i casi, siamo nel
mondo dei sogni
irrealizzabili: la
promozione è sfumata
anche quest'anno e le
difficoltà economiche
e finanziarie
impediscono di
allestire una rosa
all'altezza delle
ambizioni di una tra
le maggiori tifoserie
italiane. La
situazione è peraltro
destinata a
peggiorare: nella
stagione 2002-2003, la
gestione operativa
(ossia quella che non
tiene conto né dei
proventi e degli oneri
finanziari, né di
quelli straordinari)
ha fatto registrare
una perdita di poco
superiore ai 19
milioni di euro:
dunque, circa un
milione e 600mila euro
al mese. E
successivamente non è
accaduto nulla che
lasci intendere un
cambiamento di questo
sconfortante andazzo:
insomma, da fine
giugno a oggi, è
ragionevole ipotizzare
una perdita di poco
superiore agli 11
milioni. Ciò
significherebbe, per
il Napoli, un
patrimonio netto
attualmente negativo
di circa 7 milioni e
mezzo di euro. Strano
che amministratori e
sindaci tergiversino
ancora e non corrano
in tribunale a
depositare i libri
contabili.
Ma
non è finita qui:
grazie alle acrobazie
permesse dal
legislatore tramite la
legge 27, fra le
attività della società
partenopea è stata
iscritta la
svalutazione del
patrimonio calciatori
per 41 milioni e
941mila euro: si
tratta però di un
buco aggiuntivo in
piena regola. Sotto il
profilo legale, esso
non emergerà fino al
giorno in cui la
Commissione europea
dovesse eventualmente
imporre l'abrogazione
della «spalma perdite».
Invece, sotto
l'aspetto
patrimoniale, è già
reale. Quanto ai
rapporti con il fisco,
il Napoli ha
approfittato delle
diverse forme di
sanatoria previste
nella finanziaria
2003: quella per le
liti pendenti (876.800
euro di esborso per
cancellare un
contenzioso di 21
milioni e 914mila
euro), e altre per
Irap, Siae e ritenute
varie (un milione e
37mila euro da versare
per un risparmio di 5
milioni e 566mila
euro).
Infine,
l'eterno contenzioso
legale con il Comune
per l'affitto dello
stadio San Paolo: sono
in ballo 10 milioni e
329mila euro. Il
Napoli ritiene che non
sorgeranno problemi
dal giudizio e perciò
non ha accantonato
alcuna cifra a
copertura del rischio.
La disputa va avanti
addirittura dal 1977 e
si riferisce ai canoni
fino al 1993, anni
durante i quali la
società non ha mai
pagato una sola lira.
E il 10 febbraio scadrà
il termine entro cui
un vecchio socio,
Ellenio Gallo, si è
impegnato a non
chiedere la cifra da
lui vantata: 4 milioni
e 268mila euro, così
come stabilito da una
sentenza del Tribunale
di Sala Consilina. E'
naturalmente una somma
che cresce per via
degli interessi. In
questa lunga recita
all'ombra del Vesuvio,
il miglior commento lo
avrebbe fatto il
grande Eduardo: «Adda
passà 'a nuttata».
Ma per questo Napoli
sarà davvero
difficile.
di
MARCO LIGUORI
SALVATORE
NAPOLITANO
30/1/2004