IL CALCIO E LA PSICOLOGIA

 

 

Gli anni 90 hanno decretato una nuova posizione nelle  grandi squadre di calcio con il sorgere dei “club-aziende”. Come risultato di questo tipo di gestione, è possibile stabilire una  nuova "filosofia” organizzativa, dove uno degli obiettivi più importanti dovrebbe essere il riconoscimento della necessità di uno psicologo operante e presente per garantire un risultato più positivo e costante nella squadra.

Offrire ai giocatori un sostegno psicologico è così importante come offrirgli un'alimentazione equilibrata, programmata per i dietisti. Il corpo fisico e quello mentale sono le due facce di una stessa moneta e meritano uguale attenzione. Prendersi cura del corpo significa percepirlo in un tutto unificato, in un tutto insieme, di cui l’emozioni e le strutture mentali fanno parte. Il ruolo dello psicologo responsabile per la salute psichica della squadra si sviluppa dalla gestione delle emozioni che i giocatori vivono profondamente nella loro routine di lavoro. Ad ogni nuova partita, una grande quantità di sensazioni diverse si innescano. Quando l'assistenza psicologica non esiste, queste sensazioni non elaborate tendono ad accumularsi, portando, in molti casi, i giocatori a sviluppare atteggiamenti impulsivi e negativi - che possono fare male a se stessi ed al gruppo di cui fanno parte. 

Attualmente, sono innumerevoli le discussioni sulla violenza nelle partite di calcio. È noto che tale fenomeno non si limita ai soli tifosi e che, fra i giocatori, la mancanza di controllo è sempre più frequente. Cosa fare, concretamente, per risolvere questo problema?  

Statisticamente, i giocatori brasiliani, nella loro maggioranza, appartengono ad un strato socio-economico più basso. Ma stranamente sono loro che, quando raggiungono il successo, ricevono gli stipendi più alti rispetto alla maggior parte della popolazione laureata. A mio parere, il contributo più grande dello psicologo è quello di far prendere coscienza al giocatore della percezione della sua realtà ed aiutarlo a capire quello che accade nella sua vita personale e professionale, sui cambiamenti e trasformazioni,  anche avvertendolo su una serie di altre possibili difficoltà: come i  problemi di socializzazione all'interno del gruppo, discussione, contrasti e divergenze tra le idee, esposizione esagerata ai media, fatti questi consueti  nella vita di qualsiasi squadra di calcio. E non ci sono dubbi che l'effetto cumulativo di questi fattori influenza negativamente il 'reddito' del gruppo. 

La realtà è che molte squadre di calcio e i loro tecnici non sanno quale atteggiamento prendere con un atleta che, eventualmente, dimostra difficoltà nelle sue prestazioni, nelle sue reazioni. Di conseguenza non percepiscono che si può avere una deficienza generale nella performance di questo atleta – conseguenze che potrebbero essere evitate se l'individuo in questione avesse un'assistenza a livello psichico. 

Ogni giocatore, così come ogni essere umano, indipendentemente dalla sua professione, è unico, un universo personale sottoposto ai cambiamenti ed oscillazioni, ai dubbi e conflitti che determinano il suo comportamento. Ma il giocatore di calcio, specificamente, affronta tanti problemi di base e a volte non sa come risolverli (ad esempio):

a.     L’abbandono dell'adolescenza, periodo delle esperienze definitive, a favore della carriera;

b.     L’allontanamento dal mondo 'normale', dovuto ad una grande devozione agli allenamenti costanti;

c.      La necessità di creare una vita familiare tradizionale;

d.     Le difficoltà dei cambiamenti di Paese, cultura – esigenza di adattarsi ai nuovi idiomi, al nuovo clima, alle nuove abitudini;

e.     Il desiderio del successo e le difficoltà nel raggiungerlo e convivere con la fama;

f.     La corta durata della carriera.

 

Non vorrei qui difendere l'idea che lo psicologo occupa il posto del mago. Evidenzio soltanto la estrema utilità dell' attuazione di un professionista dell’area terapeutica per dare agli atleti, attraverso un supporto necessario, sussidi sufficienti in modo che risolvano soddisfacentemente le difficoltà sopra citate. Oltre questo, un'altra questione importante è il comportamento del giocatore al cospetto delle pressioni ricevute dai tifosi e dai Media in generale. L’esigenze, molte volte improprie ed inclementi, possono significare un ostacolo in più all'interno delle difficoltà a cui è stato sottoposto. 

Nel caso dalle squadre di calcio, lo psicologo aggiungerebbe le sue conoscenze a quelle degli altri professionisti, ugualmente importanti, per arrivare così ad un migliore disimpegno del gruppo. Tocca al terapeuta dello sport, essere un mezzo di facilitazione per le interrelazioni del gruppo. Per arrivare a questo, sarebbero necessarie sedute con dinamica di gruppo, ed accompagnamento individuale. Le conferenze e le riunioni informative sugli oggetti attuali completerebbero il lavoro, concedendo agli atleti una visione  compresa del mondo e delle sue responsabilità come cittadino.

 

Mantenere il buon stato emozionale dei giocatori, cercando di interagire affinchè questi  percepiscano la loro funzione reale ed il loro momento di vita, era sempre un'operazione attribuita agli allenatori. Chiedo l'autorizzazione al lettore per citare qui una frase di Nelson Rodrigues (importante drammaturgo e scrittore brasiliano): "... ma cosa capisce d’anima un allenatore di Calcio? La domanda, molto pertinente, ci riporta al mitico episodio del Mondiale del ’50. Evento che si verificò nel Maracanà nella finale tra Brasile e Uruguay (nella foto) e che ha provocato una tra le più grandi delusioni di sempre. Il prematuro festeggiamento della vittoria di quel Mondiale è stato nocivo per la concentrazione ed il risultato degli atleti brasiliani durante il gioco, favorendo la vittoria dell'Uruguay - squadra che fino a quel punto non aveva certo i favori del pronostico come la nazionale del Brasile. Se, invece, nei momenti che avevano preceduto la grande finale, vicino all’allenatore Flavio Costa ci fosse stato un professionista dell’area terapeutica in grado di gestire e controllare l’ansia del “già abbiamo vinto, questi mondiale sono nostri!”, oggi saremmo sei volte campioni del mondo. 

Ancora lungo è il percorso per garantire l'attuazione di spazi  terapeutici negli sport, principalmente nel Calcio, più resistente a questa innovazione di quanto avviene per il tennis, la pallavolo o il nuoto, oppure ancora per a formula 1. Alcuni ostacoli restano, essendo la mentalità di tanti dirigenti ancora troppo conservatrice, primitiva.

 

Dott.ssa Patricia de Oliveira

Musicoterapeuta e Psicologa

Specializzata in Terapia della Comunicazione

e Terapia nello Sport

       

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