JUVE, INTER E MILAN FUORILEGGE

Sui diritti tv, le tre squadre più ricche e potenti hanno fatto un accordo privilegiato con Sky, a discapito della concorrenza. Oggi la Commissione parlamentare d'indagine sul calcio darà il suo responso: diminuire gli squilibri nella ripartizione delle risorse

 

di SALVATORE NAPOLITANO


L'accordo di cartello c'è: firmato Antonio Giraudo. L'amministratore delegato della Juventus lo ha ammesso senza fare una piega durante la sua audizione dell'11 maggio scorso alla Commissione parlamentare di indagine conoscitiva sul calcio: «L'accordo a tre per la cessione dei diritti televisivi, raggiunto da Juventus, Milan e Inter, può essere considerato giusto o sbagliato: noi non potevamo fare altrimenti». Giraudo si riferiva al fresco rinnovo del contratto con Sky, in scadenza il 30 giugno 2005. Cosa significa «accordo a tre» se non l'esistenza di un cartello? Anche perché le tre squadre valgono circa i due terzi della somma stanziata da Sky per acquisire i diritti criptati del campionato. Peccato però che gli accordi di cartello siano vietati dalla legislazione comunitaria che tutela la concorrenza. A tal proposito, è utile leggere le disposizioni del Dipartimento alle Politiche comunitarie: «La politica di concorrenza interviene per impedire accordi di cartello o abusi di potere economico». E specifica che sono «vietate o incompatibili con il mercato comune le intese e le pratiche tra imprese volte a ripartire i mercati», nonché «le operazioni di concentrazione che creano o rafforzano una posizione dominante in virtù della quale viene ostacolata la concorrenza effettiva». Ma, poiché nella vita non bisogna mai farsi mancare niente, il 28 giugno Juventus, Milan e Inter hanno firmato un accordo anche con Mediaset, relativo alla trasmissione in digitale terrestre delle loro partite casalinghe del campionato, possibile peraltro solo dal torneo 2005-2006. Un simile andazzo discriminatorio, introdotto da una legge del 1999 del governo D'Alema, con cui la contrattazione dei diritti televisivi criptati da collettiva è divenuta singola, è ormai inviso non soltanto all'opinione pubblica. Oggi, la Commissione parlamentare di indagine conoscitiva sul calcio chiuderà ufficialmente i suoi lavori davanti al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, e ai massimi dirigenti del calcio italiano. E lo farà con un messaggio chiaro: diminuire gli squilibri nella ripartizione delle risorse. Dunque, in primis, quelli relativi alla torta televisiva. Squilibri, si badi bene, basati non su motivi economici, ma su una mera questione di potere calcistico di Juve, Milan e Inter. Non sono fantasticherie da bar sport: lo ammise la stessa società bianconera, all'atto del suo approdo in Borsa a fine 2001, spiegando nel Prospetto informativo che le condizioni vantaggiose del contratto stipulato con Tele+ dipendevano «dalla sua appartenenza al gruppo di società facenti capo alla famiglia dell'avvocato Gianni Agnelli». Non solo: Tele+ era anche sponsor bianconero e oggi lo è Sky. Rapporti, perciò, ben diversi rispetto a quelli canonici tra cliente e fornitore. L'aspetto centrale del problema è semplice: ciascuna squadra può vendere solo i diritti relativi alle proprie partite casalinghe. Quelli di Milan-Lazio appartengono perciò ai rossoneri, quelli di Atalanta-Juventus agli orobici. Ne consegue che, nello stadio televisivo virtuale, l'82% dell'incasso dovrebbe andare alla squadra di casa e il restante 18% agli ospiti. Esattamente come nello stadio vero. Ma non è così: ciascuno firma il suo contratto indipendentemente dagli abbonamenti che saranno sottoscritti e restituisce il 18%. Nella stagione 2002-2003 si oscillava dai 54 milioni della Juve ai 5 milioni e 600mila di Como, Empoli, Modena e Piacenza. Peggio è andata alle più deboli l'anno passato con l'esperienza fallimentare di Gioco Calcio. E il numero degli abbonati a ogni singola squadra? Ignoto: Sky ha proseguito nell'usanza inaugurata da Tele+, vendendo il «campionato più bello del mondo»: dunque, ci si abbona alla serie A e alla serie B, e non a una squadra. Un modo evidente per impedire calcoli precisi su quanto ciascuno prende da Sky e su quanto poi gli frutta.
C'è poi da sfatare un altro mito: quello che sia giusto inondare di denaro le tre solite note sulla base dei 10 milioni di tifosi juventini, e dei circa 6 di Inter e Milan. Cifre che, esposte sic et simpliciter, non sono esplicative: per capire il valore economico effettivo di una squadra agli occhi di una qualunque azienda, occorrerebbe sapere quanto i sostenitori sono disposti a spendere per la propria squadra: 10 milioni di tifosi parsimoniosi varranno meno di 3 milioni di tifosi spendaccioni. E' un aspetto trascurato dalle indagini di mercato. Ce n'è una del 2001 della Nielsen-Cra che indicava nei sostenitori della Roma quelli più legati: in generale si può dire che, quanto più una squadra è radicata nel suo territorio, tanto maggiore è la propensione alla spesa dei propri tifosi. Considerazione finale: perché la Juventus non ha ancora un canale tematico, diversamente da Inter, Milan e Roma? Questione di diversa voglia di spendere dei propri sostenitori, appunto.

                                              23/7/2004  

 

INDIETRO