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LA GESTIONE DIRETTA DEGLI STADI, TRA UTOPIA E REALTA?/span>    

Le societ? di calcio italiane che attualmente e nella maggioranza dei casi navigano in gravose crisi finanziarie, non considerano o lo fanno solo in minima parte, come fonte primaria dei loro ricavi, gli introiti che derivano dalla gestione diretta dello stadio. Difatti lo stadio, non pu? considerarsi per una societ? di calcio un ”costo? ma un elemento primario di “profitto? una calamita per attirare danari per rimpinguare le anemiche casse sociali.

La strada seguita dai club inglesi e da qualche grosso club spagnolo, ha portato le societ? appartenenti alla premier league in una posizione di vantaggio rispetto alle altre societ? calcistiche del continente e quindi anche quelle italiane.

Per quel che concerne la gestione degli stadi, come innovativa fonte di ricavo, i club italiani devono imparare ancora molto dall’esperienza maturata dalle societ? inglesi.

In Inghilterra, la situazione di vantaggio ? stata favorita dall’applicazione della legge Taylor del 1990,  la quale prevedendo la ristrutturazione degli stadi, ha destinato oltre 900 miliardi al rinnovo delle strutture peri l’europeo del 1996, da allora  diversi club inglesi hanno investito cifre importanti, approssimativamente 750 milioni di sterline negli ultimi nove anni, nello stadio e nelle infrastrutture di supporto. Difatti i club si sono resi conto dei vantaggi che ci potevano essere dall’ammodernamento dello stadio, dal gestirlo direttamente acquistandone la propriet? cos? da destinare l’impianto ad un uso polivalente che avrebbe soddisfatto tutti gli utenti; si pensi alla creazione di box, ristoranti, hotel, negozi per la vendita dei gadget della squadra del cuore.  L’esperienza di come utilizzare in maniera diversificata lo stadio ? data dal grande Manchester United, il cui stadio “Old Trafford? possiede 60.000 posti tutti a sedere, un efficiente servizio di sicurezza dotato di una trentina di telecamere collegate ad un circuito chiuso che consentono di vigilare sui movimenti del singolo tifoso. L’impianto ? poi dotato di box esclusivi, un ristorante, 4 bar un museo e tre punti vendita per i gadget della squadra. La situazione vale per quasi tutti gli altri club anche quelli meno titolati. In Inghilterra agli stadi ci si va con le famiglie, nell’impianto si pu? trovare tutto ci? che desidera, dall? hotel, al ristorante, ai negozi per fare shopping, insomma l’evento sportivo finisce per essere solo l’occasione aggregante, quella di poter vivere tutti assieme il fantastico mondo che ? l? “English  stadium?

Le societ? italiane incontrano dei vincoli e dei problemi oggettivi forti per lo sviluppo di questa fruttuosa iniziativa di far cassa. Gli impianti italiani hanno per lo pi? strutture non idonee a favorire un uso differenziato dagli stessi lungo i diversi giorni della settimana. Gli stadi sono di solito di propriet? del comune che li destina allo svolgimento anche di altre attivit? sportive che esulano dalla partita di calcio ed addirittura li mette a disposizione per lo svolgimento di concerti musicali. Inoltre quasi in tutti gli stadi ? presente la pista di atletica, l’et? delle strutture ? troppa alta, se si esclude quelle create ex novo per i mondiali del 1990, inoltre la capienza media degli impianti italiani ? troppo elevata per soddisfare le esigenze di un club che voglia attuare una strategia di marketing tesa alla diversificazione dei profitti da stadio e quindi, incassi derivanti non solo dal prezzo dei biglietti ma anche dalla vendita di gadget, dalla vendita di prodotti della ristorazione, dall’affitto dei box etc. L’esperienza inglese ci insegna che la dimensione ottimale di uno stadio polifunzionale deve prevedere una capienza non superiore ai 40/45 mila posti tutti a sedere, pensato solo per il calcio e quindi senza la pista di atletica, dotato di una serie di box esclusivi per seguire gli incontri in posizione privilegiata, di sale polivalenti, di palestre e di punti di ristoro. Il fatto che nessuna societ? italiana sia titolare dello stadio in cui disputa gli incontri riduce di molto la possibilit? per i club di attuare un piano strategico che permetta di dotare gli stadi delle infrastrutture necessarie per il migliore sfruttamento economico degli stessi. L’unico esempio di societ? italiana proprietaria dello stadio, ? la Reggiana il cui stadio “Giglio?span style="mso-spacerun: yes">  ? costato nemmeno 30 miliardi. Fondamentalmente cercare di acquisire lo stadio da un’amministrazione comunale non ? cos? semplice, difatti la prassi prevede che vi sia un’asta pubblica con il rischio che al termine della stessa risulti vincitrice una impresa che non ? quella che rappresenta la societ? di calcio che gioca in quello stadio.

 Pertanto le altre societ? soprattutto quelle che vanno per la maggiore, si pensi alla Roma, alla Lazio e alla Juventus stanno seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di dotarsi di uno stadio di propriet? e, piuttosto che riscattare o prendere in gestione quello attuale ove giocano dal Comune, preferirebbero investire danaro costruendo un impianto ex novo, che abbia le caratteristiche suddette in precedenza. Ci? significherebbe gestire allo stesso tempo la vendita degli spazi pubblicitari all’interno dello stadio e contemporaneamente aprire le porte dello stadio per tutta la settimana trasformando lo stesso in un luogo di aggregazione per i tifosi, ottenendo in tal modo, effetti positivi in termini di ricavi.  

 

 

Luigi Giordano                                                             4/1/2003

 

 

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