Per
rimanere in gara
le squadre a
rischio hanno
ancora due
possibilità. Fare
ricorso contro la
commissione,
oppure
ricapitalizzare.
MARCO
LIGUORI
SALVATORE
NAPOLITANO
Ameno
di nuovi colpi di
scena, il decreto
cosiddetto «spalma
Irpef» non vedrà
mai la luce. Su
come il
provvedimento si
stava profilando,
in molti hanno
espresso il loro
autorevole parere:
dal punto di vista
legale è
indifendibile, sia
per la violazione
dell'articolo 3
della
Costituzione, che
sancisce
l'uguaglianza di
ciascuno di fronte
alla legge, che
delle norme
europee sulla
regolamentazione
degli aiuti di
Stato. Ma anche
dal punto di vista
economico la
possibilità di
rateizzare in
cinque anni il
debito per l'Irpef
sugli emolumenti
dei calciatori non
risolve un granché,
salvo mettere
l'ennesima toppa a
colori di un
vestito sempre più
sdrucito: ma il
Carnevale è ormai
passato. Come è
noto a tutti,
spalmare un debito
equivale solamente
a ripartirlo nel
tempo, ma non
cambia di un solo
centesimo
l'aspetto
economico: i costi
restano tali e
quali. Per Lazio,
Parma e Roma (in
rigoroso ordine
alfabetico) il
rinvio sine die
dello «spalma
Irpef» non è una
bella notizia: una
delle condizioni
per ottenere la
cosiddetta licenza
Uefa, che regola
l'accesso alle
competizioni
europee della
prossima stagione,
è quella di non
avere debiti
scaduti né verso
i dipendenti, né
verso Erario ed
Enti
previdenziali, né
verso altre società
per il
trasferimento dei
calciatori. In più,
occorre la
certificazione
dell'ultimo
bilancio annuale.
C'è però ancora
tempo.
Il termine ultimo
per ottenere la
licenza è infatti
il 31 maggio, con
il terzo
eventuale, ma
definitivo, grado
di giudizio, di
competenza della
Camera di
conciliazione ed
arbitrato per lo
sport. Il primo si
concluderà il 10
aprile con la
decisione della
Commissione delle
licenze di primo
grado, che valuterà
i documenti
inviati entro il
31 marzo. Essa è
formata da tutti i
membri della
Covisoc, la
commissione che
vigila sui conti
sulle società
calcistiche, più
due aggiuntivi.
Immaginando che
abbandoni il suo
proverbiale
lassismo nelle
decisioni, per le
società ci sono
due modi di
risolvere il
problema: uno
cavilloso, l'altro
lineare. Il primo
è relativo alla
norma, così come
è stata
architettata dall'Uefa:
il debito non è
considerato
scaduto, e quindi
la licenza viene
rilasciata, se è
pagato, oppure se
si raggiunge una
transazione con il
creditore (e
sarebbe stato
questo il terreno
di intervento
dello «spalma
Irpef»), o,
infine, se si
ricorre al
tribunale contro
il debito stesso.
Dunque, basta
ricorrere per
farla franca,
almeno dal punto
di vista
temporale.
Il secondo è
semplice nella sua
difficoltà: basta
ricapitalizzare.
In mancanza di
altre soluzioni,
l'immissione di
mezzi finanziari
freschi consentirà
a Lazio, Parma e
Roma di superare
l'esame Uefa. A
ben vedere, non di
sole regole Uefa
si tratta: la
stessa
sopravvivenza
delle tre società
è legata alla
possibilità di un
aumento di
capitale.
Il punto vero è
dunque questo: se
esse riusciranno a
trovare azionisti
in grado
nell'immediato di
fornire i mezzi
finanziari atti a
superare i gravi
problemi, e, in
seguito, di
riportare i conti
in equilibrio
economico (a meno
che non arrivi un
qualsiasi
neo-Paperone che
abbia la
possibilità di
ripianare ogni
anno le perdite)
allora
sopravvivranno.
Altrimenti, il
ricorso al
tribunale
fallimentare sarà
inevitabile.
Ricordare le cifre
del dissesto è
monotono ma utile:
la Lazio ha chiuso
l'esercizio al 30
giugno 2003 con
perdite pari a 121
milioni e 860mila
euro, la Roma a
115 milioni e
390mila euro,
mentre il Parma,
che aveva
annunciato perdite
per 77 milioni,
sta ancora
rifacendo i suoi
conti dopo il crac
della sua
controllante
Parmalat. E, al 30
dicembre 2003,
ossia nel primo
semestre
dell'esercizio in
corso, la società
biancoceleste ha
già perso altri
68 milioni e
100mila euro,
tanto che il
patrimonio netto
è diventato
negativo per 22
milioni e 300mila
euro, mentre
quella giallorossa
ha chiuso in rosso
di 47 milioni e
171mila euro.
Non essendo
quotato in Borsa,
il Parma non è
tenuto alla
redazione della
semestrale. Per
tutti valga
l'esempio della
Fiorentina:
nell'estate 2001,
la società
gigliata fu
costretta a
vendere due suoi
gioielli, Manuel
Rui Costa (nella
foto) e
Francesco Toldo,
per saldare il
proprio debito
verso l'Erario. Ma
era solo un
palliativo.
Serviva anche una
ricapitalizzazione
che non arrivò:
la Fiorentina fallì.
Ma nel capoluogo
toscano non ci
sono state
sollevazioni
popolari.