UN SUPERMANAGER VI SEPPELLIRA' 

 


Negli anni `70 era un modesto difensore del Modena in serie C. Poi, col diploma da ragioniere, entrò nel magico mondo delle banche e da lì fu richiamato per mettere a posto i conti in rosso di Parma e Lazio. Ora è in corsa per diventare vicepresidente della Lega calcio. Piani, misteri e scalate di Luca Baraldi.

 

MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO


A Roma, come del resto in Italia, un titolo di dottore non si nega a nessuno: nemmeno a Luca Baraldi, il supermanager che da mesi viene indicato da più parti come unico salvatore possibile per il disastrato calcio italiano. L'ex amministratore delegato della Lazio, tornato al Parma da poche settimane, compare appunto con questa qualifica in tutte le comunicazioni ufficiali della società biancoceleste alla Borsa. Come, ad esempio, la trimestrale al 31 marzo 2003, il bilancio al 30 giugno 2003 e il prospetto informativo dell'aumento di capitale dell'estate scorsa. E anche nei contratti firmati con i calciatori laziali il timbro recante il suo nome contiene la sigla di dottore: «Sono laureato in economia e commercio», ha spiegato al telefono. Ma non ha voluto rivelare né l'Università, né l'anno di laurea: «Questione di principio», ha detto. Alla Lazio riferiscono di non avergli mai chiesto il titolo di studio, ma di supporre che fosse laureato, visto il ruolo che occupava. E allora bisogna andare molto a ritroso nel tempo. Ne ha fatta di strada, e non solo nel mondo del calcio, quel giovane difensore dai piedi ruvidi di cui qualcuno conserva ancora memoria a Modena. Era la fine degli anni Settanta, periodo in cui i «canarini» furono retrocessi dalla serie B alla C1. Da allora, Baraldi non ha più sbagliato una mossa: soprattutto il 2003 è stato il suo anno. E' arrivato alla Lazio dopo una folgorante ascesa: partì dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna, dove era arrivato a dirigere l'agenzia di Collecchio e da cui uscì nel 1994. Passò poi all'istituto di credito francese Indosuez, prima dell'approdo alla Banca del Monte di Parma, dove divenne in breve vice direttore generale: andò via nel maggio 2001, e un paio di mesi dopo fu cooptato da Calisto Tanzi al Parma Calcio come direttore generale, e, successivamente, catapultato nella Capitale per salvare la Lazio. Alla Popolare dell'Emilia Romagna lo ricordano, documenti ufficiali alla mano, come ragioniere: stesso discorso alla Banca del Monte di Parma. Si sarà dunque laureato dopo il maggio 2001 tra il salvataggio del Parma e quello della Lazio.

Proprio i dieci mesi trascorsi a Formello, dove è approdato il 3 gennaio 2003 per andarsene il 3 novembre, sono stati un vero capolavoro: per lui, non per la società biancoceleste. E' tutto scritto nei bilanci: sotto la sua guida, la Lazio ha chiuso con un rosso di 121,86 milioni. Nell'esercizio precedente, l'ultimo sotto la guida di Sergio Cragnotti, le perdite erano state inferiori, perché pari a 103,05 milioni. E' vero che Baraldi ha preso la guida a metà dell'esercizio 2002-2003 e che si è imbattuto in crediti inesigibili iscritti a bilancio dalla precedente gestione, o addirittura mai sorti come un famoso credito di 17 milioni e 648mila euro verso l'Erario, contestato dal collegio sindacale, ma è altrettanto vero che ha potuto sfruttare l'ineffabile legge 27, meglio conosciuta come «spalma perdite», che ha consentito di abbattere il valore del patrimonio calciatori, ripartendo in dieci anni la perdita emergente. Un risparmio considerevole, dal momento che la Lazio ha effettuato una svalutazione di circa 213 milioni, e ha applicato la legge seguendo l'interpretazione della Lega calcio e non quella dell'O.I.C., l'Organismo italiano di contabilità, che certo doveva avere una valenza maggiore: ciò ha prodotto un risparmio ulteriore di 54milioni e 400mila euro.

E il progetto con il quale la società biancoceleste sarebbe uscita fuori dal tunnel, pomposamente denominato come «piano Baraldi»? Una comica: l'ex amministratore delegato biancoceleste asserisce di aver dimezzato il monte stipendi. Lo ha ribadito anche nelle ultime settimane. Persino uno svogliato studente di ragionieria reputerebbe sbagliata questa affermazione: il piano prevede che il 55% dello stipendio sia pagato subito, e il restante 45% in 36 rate mensili di pari importo con decorrenza primo luglio 2005 o dalla data di scadenza del contratto se antecedente. Altro che dimezzamento. Il costo resta assolutamente invariato: ciò che cambia è solo la natura del debito, una parte del quale diventa di lungo periodo. Il «piano Baraldi» consta anche di altri elementi: la conversione in azioni dell'equivalente di cinque mesi di stipendio dei calciatori e la richiesta di rateizzazione in dieci anni dei debiti verso l'Erario per l'Irpef sui redditi dei calciatori. Per quanto riguarda la conversione, per ora è saltata perché non è stata approvata dall'assemblea dei soci entro la prevista scadenza del 20 dicembre. Quanto alla rateizzazione, la legge impone come obbligatorie le garanzie bancarie che la Lazio non è riuscita a ottenere. Non a caso, l'Agenzia delle Entrate non ha ancora risposto alla richiesta, fatta il 18 luglio. Per il suo operato, Baraldi ha ricevuto poco meno di sei milioni di euro lordi. Un milione e 477mila in qualità di amministatrore delegato, 4 milioni e 512mila come direttore generale. Di questa somma fa parte anche un bonus di 2 milioni e 96mila euro, legato al raggiungimento dell'obiettivo di diminuire il monte stipendi laziale del 25%. E chi è stato a giudicare centrato il risultato? Naturalmente, i vertici dirigenziali, tra cui spicca l'amministratore delegato: ossia proprio Baraldi. E' il motivo per cui la Lazio vorrebbe recuperare quel bonus.

Non è tutto. Baraldi è evidentemente ubiquo: poche settimane dopo essere giunto nella Capitale, a fine gennaio 2003 è stato nominato consigliere di amministrazione di Parmatour e il 14 marzo consigliere di Telemec, società editrice di alcune televisioni locali del parmigiano e del piacentino: entrambe le aziende facevano capo alla famiglia Tanzi. In ogni caso, Baraldi ha un fiuto sopraffino: poco prima dello scoppio della bufera Parmalat, precisamente a luglio, è uscito dal cda di Parmatour. I motivi? Perché ha «contestato dei verbali» e perché aveva «troppi impegni a Roma». Ma li aveva anche quando accettò la nomina. E a metà gennaio 2004, in concomitanza con la sua nomina ad amministratore delegato del Parma, si è dimesso anche dal suo incarico alla Telemec. Ora è in corsa per sostituire l'ex presidente del Parma, Stefano Tanzi, come vicepresidente della Lega calcio. La scalata continua.

  

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